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Dicembre 2016mancano “loro”, i nostri sguaiati, pimpanti –  no a quando non varcano la soglia della scuola-, pittoreschi alunni; non trovarli lì, “a frotte”, radunati in piccoli e scanzonati gruppi, appaiati per le con denze dell’ultim’ora o soli, persi dentro chissà quali pensieri... cuf e rigorosamente sulle orecchie e sigarette fumanti; non passare attraverso insolite e odorose, di vita disorganizzata, nuvole di fumo, facendo il solito slalom sul marciapiede... rischia di rendere questa che sta per iniziare una giornata strana... troppo silenzio, sembra tutto ovattato... quando ecco lo vedo arrivare, di corsa, è poco distante da me; mi prende la rabbia: ancora questi stupidi ritardi, ancora questa fatica a rispettare le regole... “Eppure” mi dico ” ormai sei al terzo anno, quante volte abbiamo parlato di che cosa signi chi essere responsabili? Di quanto sia importante “crescere” nella  ducia?”La  ducia: ma che cos’è la  ducia? Qui si percepisce la  ducia, la si vive, diventa tangibile, si può respirare come l’aria, o rischiare, in certi momenti, di sentirsi in apnea, per la sua mancanza... come quando in classe si arriva così vicino allo stremo che si avverte la necessità di fermare tutto e cala il silenzio: improvvisamente si cambia registro; non serve alzaredalle comunitàla voce, anche se in certi momenti si fatica a non ingaggiare una bella partita di ping pong: noi, gli adulti formatori, di qua e loro, i nostri sregolati ragazzi, di là... ma sarebbe una partita persa, tanto che quando capita, dif cilmente e per fortuna, si arriva alla  ne: basta uscire un tantino fuori di sé, provando a mettersi dall’altra parte per capire che non funziona giocare a chi urla più forte, perché vincono loro... E magari ecco che af ora la tentazione di lasciarsi andare a quelle forti suggestioni che si leggono nei libri o che  niscono nella memoria collettiva perché brillanti pagine cinematogra che, molto romantiche... inviterebbero a fare un gesto eclatante... così  nisci col chiederti: “Ma cosa succederebbe se salissi in piedi sulla cattedra?” Tentazioni che restano tali, basta restare coi piedi per terra, per comprendere che no, no, meglio di no... è roba troppo poetica per “noi”, che viviamo nel qui e ora insieme a loro, che in momenti come questi, ci guardano, ci scrutano, ci misurano. Ed è qui che si avverte prepotente la necessità di rilanciare la  ducia, mostrando il proprio volto: sono io che ne sento il bisogno, che sento il bisogno di dire perché sono qui ora, perché sono felice di essere qui, di dire che mi ritengo molto fortunata ad esserci, perché l’ho scelto e perché ci credo, sì, ci credo che insieme possiamo lasciare una traccia nelle nostre reciproche vite. E’ così che si mostra il volto, che si alzano gli occhi, che ci si prende cura degli sguardi, perché io voglio guardarli questi occhi per poi scoprire che non sono io quella che dà e promuove, non sono io a insegnare cos’è la  ducia ma sono “loro”, occhi spalancati su di me... Bene, sì, ma adesso, in questo preciso istante, con lui, sento che devo tenere duro. Non ci si può permettere di essere troppo teneri. Si avvicina, non mi giro, lo faccio apposta, non si merita una medaglia per l’ennesimo ritardo, bisogna insegnarglielo che “non è tuttodalle comunitàpag.21


































































































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