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Novembre 2016primi incontri con Michele Rua, capisce quale missione avrebbe potuto condividere con lui.Andando o tornando da scuola, Michele incontrava qualche volta Don Bosco. Gli correva incontro con gioia e gli baciava la mano (come allora si usava con i sacerdoti). Allora Don Bosco, sorridendo, gli metteva la sua berretta da prete in testa, gli porgeva il palmo sinistro della mano, e con la destra faceva un gesto come per tagliarla a metà. Quando il 3 ottobre 1852 Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico, Michele si decise a chiedergli il perché di quel gesto strano. Don Bosco gli rispose: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo: nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune».TREAllo stesso modo noi possiamo e dobbiamo vivere il nostro essere insieme come comunità educante: è fondamentale sentire l’importanza dell’azione degli altri, sapere di avere degli alleati nel nostro impegno educativo!Non siamo e non dobbiamo sentirci soli nel nostro compito di favorire la crescita umana e spirituale di ciascuno dei membri che compongono la comunità, ma per riuscirci è certo necessario lavorare ad un clima di collaborazione e relazione, nel quale gli obiettivi che ci poniamo possano essere realizzati grazie all’apporto di ciascuno nel suo ruolo.Si crea così un ambiente aperto, che favorisce la maturazione della persona, dove tutti si sentono custodi e responsabili di ogni altro membro della comunità. Suor Maria Teresa ci ricorda tuttavia che la comunità, che si de nisce educante, non è quella che ha raggiuntodalle comunitàla sua meta, ma quella che si sente sempre in cammino ed è orientata ad imparare a comunicare in modo autentico, semplice e schietto.Diventa quindi fondamentale, più che l’attenzione alle opere, che noi investiamo tutte le nostre risorse ed energie per una comunità educante che sia dinamica, che si lasci provocare dal Vangelo e ne diventi testimone. “Solo chi ha vocazione provoca vocazione” diceva Natalia Ginzburg o, per dirla alla Alessandro D’Avenia, autore del libro “L’arte di essere fragili” che i ragazzi delle Medie hanno regalato a suor Maria Teresa, “Solo chi vive il suo rapimento genera rapimenti e provoca destini”.“Siate felici nel tempo e nell’eternità!” diceva Don Bosco. E come potremmo farlo senza un aiuto dall’Alto?I bisogni di chi vive nella comunità superano quelle che sono le nostre possibilità concrete o le nostre forze personali. Suor Maria Teresa ci invita quindi a ricercare uno spazio da dedicare alla preghiera da vivere insieme, perché sappiamo che dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù, Lui è in mezzo a loro.Uno... due... tre... una Comunità che cammina non solo all’interno delle mura della Casa San Giuseppe, ma anche e soprattutto nel territorio e nel contesto in cui si trova; una Comunità aperta, viva, attiva e presente a livello sociale ed ecclesiale, che accolga, educhi e rilanci quelli che saranno gli uomini e le donne di domani, coloro che genereranno vita, cittadini del mondo, semi del cambiamento, per renderlo migliore.Buona Strada a tutti noi,Alessandradalle comunitàpag.21


































































































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