Il Papa emerito Benedetto XVI si racconta nel libro intervista «Ultime conversazioni»
Uscito il 9 settembre 2016, in tutto il mondo il nuovo libro intervista del giornalista tedesco Peter Seewald con il Papa emerito tocca le tappe più importanti della sua vita: dall’infanzia sotto il regime nazista, la scoperta della vocazione, gli anni difficili della guerra, poi il servizio in Vaticano e il forte legame con Giovanni Paolo II, fino all’elezione al soglio pontificio e alla decisione della rinuncia al Pontificato.
Nel 1958 Joseph Ratzinger scrisse uno dei suoi primi libri di successo, La fraternità cristiana, che anticipava alcune delle intuizioni fondamentali della sua visione teologica. Diceva il giovane teologo: «La preghiera cristiana del Padre Nostro non è l’invocazione di un’anima, la quale non conosce altro che Dio e se stessa, bensì è legata alla comunità dei fratelli, insieme ai quali siamo l’unico Cristo».
Poi continuava: la nostra fraternità si basa sulla comunione con Cristo aperta non solo ai forti e ai sapienti ma a tutti, soprattutto ai più deboli, ai poveri, agli umili e ai perseguitati. Vi è qui l’anticipazione di quella fraternità e complementarietà tra papa Benedetto e papa Francesco di cui abbiamo avuto alcune conferme significative in questi giorni.
Papa Francesco l’ha sottolineato nella prefazione al mio volume Servitore di Dio e dell’umanità parlando del debito di gratitudine che noi tutti abbiamo verso Ratzinger per il suo contributo alla cultura e alla fede, per l’elaborazione di un magistero in grado di rispondere alle attese del nostro tempo. Gli rispondeva Benedetto nell’intervista acclusa al mio volume parlando della disponibilità di papa Francesco verso tutti gli uomini. Ora l’altro ieri, presentando il mio libro a papa Bergoglio, in margine all’udienza generale del mercoledì, ho avuto modo di toccare quasi con mano questa disponibilità. Si notava nello sforzo delle catechesi di giungere a tutti, di comunicare, di infondere fiducia ai presenti a partire non dalle gerarchie consolidate, bensì dalla successione delle Beatitudini, dei poveri, dei miti, di coloro che soffrono.
Poi nell’intervista Ultime conversazioni di Peter Seewald di cui il Corriere della Sera ha anticipato alcuni stralci papa Benedetto fa un’altra affermazione di grande interesse: parla della riforma pratica del suo successore, della sua capacità di mettere in pratica azioni di carattere organizzativo. Qui non c’è più unicamente fraternità e comunione, ma anche complementarietà e integrazione al servizio della Chiesa. Dice ancora Benedetto XVI: «L’elezione di un cardinale latino-americano significa che la Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi». Qui il pensiero va a Guardini e al suo grido di entusiasmo che aveva aperto la riflessione sulla Chiesa all’inizio del XX secolo: «Si è innescato un processo religioso di portata imprevedibile: la Chiesa si risveglia nelle anime». E poi al Vaticano II, a quella Costituzione sulla Chiesa che nel proemio afferma: «La Chiesa è … come un Sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».
È l’invito concorde dei due Pontefici a non attardarsi in dinamiche di piccole contraddizioni intraecclesiali, di progressisti e conservatori, prendendo magari a pretesto presunte discordanze tra i due Pontefici. Dice ancora Benedetto XVI: «Ciò che è bello e incoraggiante è che proprio nella nostra epoca accadono cose che nessuno si aspettava e mostrano che la Chiesa è viva e trabocca di nuove possibilità». Bisogna dunque guardare avanti perché la prospettiva è ancora una volta nuova ed entusiasmante.
C’è la stanchezza dell’Europa che da tempo ormai non sembra più in grado di sperimentare l’entusiasmo del Vangelo, ma vi sono i popoli dell’America, dell’Africa e dell’Asia che con insistenza chiedono con le parole di Filippo: mostra ci la misericordia del Padre nell’accogliere i poveri e i diseredati, quanti subiscono violenza e aggressione, quanti sono deboli e affamati. È il compito che la Chiesa ha davanti a sé e che può svolgere solo nella fedeltà a Cristo, rimanendo aggrappata al Maestro di Nazaret con tutte le forze, in una disposizione di generosità e donazione. E l’Europa? La lasciamo al suo destino di stanchezza e indifferenza? Con san Paolo, Benedetto XVI risponderebbe: impossibile. Nel suo pontificato egli con insistenza ha proposto al Vecchio Continente l’ideale di un nuovo umanesimo per il 2000 basato sul dialogo tra le religioni, sulla collaborazione tra autorità politiche e religiose a partire da una laicità sana e rispettosa, sull’amore per il Creato, sulla via della bellezza che viene da Dio e a lui riconduce.
E l’arrivo di nuove forze provenienti da altri Paesi e continenti può ben essere lo stimolo che può dare nuova linfa anche al Vecchio Continente. In conclusione Benedetto XVI fa nella nuova intervista una confessione che desta tenerezza: «Non riesco a vedermi come un fallito». Possiamo ben credergli. Come dice papa Francesco: tutti siamo debitori verso il Pontefice emerito, tutti gli dobbiamo amore e riconoscenza per il suo servizio alla verità, per il suo amore a Cristo e alla Chiesa.
Fonte: avvenire.it
Straordinaria la libertà con cui parla di sé e di Bergoglio
di Luigi Accattoli
Le Ultime conversazioni di papa Benedetto è un libro godibile e straordinario per più ragioni e non solo perché non si era mai visto un Papa che tira il bilancio del proprio Pontificato. Straordinaria è innanzitutto la libertà con cui Benedetto parla del successore, di se stesso e di dove va la Chiesa.
Si dice «felice» dell’elezione di Bergoglio, difende il proprio operato. Godibile è la schiettezza delle confidenze anche più minute, custodite con scrupolo in tanti anni: scrive solo a matita e mai a penna, quando deve «ponderare bene una questione» si sdraia sul divano. Venendo in Italia si è appassionato alla «pennichella». Dal 1997 ha un pacemaker e non vede dall’occhio sinistro. Siamo colpiti dalla libertà con cui Francesco parla in aereo – ma anche a terra – su ogni questione che gli venga posta, ma ecco che lo fa anche il Papa emerito: a gara si erano spogliati del rosso e a gara liberano la figura papale dai codici linguistici che la bloccavano più della tiara.
Questo libro costituisce una riprova convincente del buon rapporto che lega i due papi: se vi fosse stata anche solo una minima difficoltà, né l’emerito – che compirà novant’anni il prossimo aprile – avrebbe osato proporre una tale pubblicazione, né il successore – che compirà gli ottanta a dicembre – l’avrebbe autorizzata.
Benedetto XVI si racconta con estremo coraggio e candore.
Ho scritto io la rinuncia
Il testo della rinuncia l’ho scritto io. Non posso dire con precisione quando, ma al massimo due settimane prima. L’ho scritto in latino perché una cosa così importante si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore.
Non ero ricattato
Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà.
Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo.
Felice del successore
Il mio successore non ha voluto la mozzetta rossa. La cosa non mi ha minimamente toccato. Quello che mi ha toccato, invece, è che già prima di uscire sulla loggia abbia voluto telefonarmi, ma non mi ha trovato perché eravamo appunto davanti al televisore. Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente. Nessuno si aspettava lui. Io lo conoscevo, naturalmente, ma non ho pensato a lui.
In questo senso è stata una grossa sorpresa. Non ho pensato che fosse nel gruppo ristretto dei candidati. Quando ho sentito il nome, dapprima ero insicuro. Ma quando ho visto come parlava da una parte con Dio, dall’altra con gli uomini, sono stato davvero contento. E felice.
La Chiesa è viva
L’elezione di un cardinale latino-americano significa che la Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi. Che non è congelata in schemi: accade sempre qualcosa di sorprendente, che possiede una dinamica intrinseca capace di rinnovarla costantemente.
Ciò che è bello e incoraggiante è che proprio nella nostra epoca accadono cose che nessuno si aspettava e mostrano che la Chiesa è viva e trabocca di nuove possibilità.
Riforme: non sono forte
Ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica.
È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza.
Sulla lobby gay vaticana
Effettivamente mi fu indicato un gruppo, che nel frattempo abbiamo sciolto.
Era appunto segnalato nel rapporto della commissione di tre cardinali che si poteva individuare un piccolo gruppo di quattro, forse cinque persone. L’abbiamo sciolto. Se ne formeranno altri? Non lo so. Comunque il Vaticano non pullula certo di casi simili.
La Chiesa cambi
È evidente che la Chiesa sta abbandonando sempre più le vecchie strutture tradizionali della vita europea e quindi muta aspetto e in lei vivono nuove forme. È chiaro soprattutto che la scristianizzazione dell’Europa progredisce, che l’elemento cristiano scompare sempre più dal tessuto della società. Di conseguenza la Chiesa deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi. Sono in corso capovolgimenti epocali, ma non si sa ancora a che punto si potrà dire con esattezza che comincia uno oppure l’altro.
Mi preparo alla morte
Bisogna prepararsi alla morte. Non nel senso di compiere certi atti, ma di vivere preparandosi a superare l’ultimo esame di fronte a Dio. Ad abbandonare questo mondo e trovarsi davanti a Lui e ai santi, agli amici e ai nemici. A, diciamo, accettare la finitezza di questa vita e mettersi in cammino per giungere al cospetto di Dio. Cerco di farlo pensando sempre che la fine si avvicina. Cercando di prepararmi a quel momento e soprattutto tenendolo sempre presente. L’importante non è immaginarselo, ma vivere nella consapevolezza che tutta la vita tende a questo incontro.
Fonti: corriere.it/cronache