Genitori e figli, vocazione di prossimità
“I tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa […] Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele”: nello schema dell’Amoris Laetitia, il Papa si sofferma sul Salmo 128, e lo pone come “indice spirituale della vita familiare” (AL 8).
Ora, è giunto il momento di volgere l’attenzione sui figli, “le pietre vive”, su cui si pone la speranza per il futuro, la continuazione della trasmissione della fede, il segno della vitalità di Dio (AL 14).
È sotto gli occhi di tutti il calo demografico, vi sono sempre meno figli e sempre meno fiducia nell’avvenire: i Padri sinodali hanno individuato, come cause, la mentalità antinatalista, le politiche che scoraggiano la famiglia, l’ideale consumistico che conduce alla negazione del dono della vita, pur di mantenere la propria libertà (AL 42).
Al di là dei non indifferenti fattori socio-economici, ritorna il paradigma dell’egoismo come determinante elemento della pianificazione familiare, il che è, a sua volta, connesso alla perdita del senso della Provvidenza, che contraddistingueva la mentalità di coloro che ci hanno preceduto.
Avere il pensiero rivolto ai gigli del campo, che, pur non filando, né tessendo, ricevono da Dio lo splendore, non vuol dire rinunziare alle proprie responsabilità, anzi, significa fare del proprio meglio e affidarlo alla cura dell’infinitamente Altro, “che si china a guardare nei cieli e sulla terra” (Sal 112,6).
Il Papa riprende la tematica dell’“Humanae Vitae” di Paolo VI, ribadendo che è contraria alla dignità umana ogni pratica che riduca l’atto generativo ad un semplice planning individuale o di coppia, specialmente quando si perdano di vista il senso della “responsabilità generativa” e la testimonianza della Grazia della procreazione in un mondo che è ostile alla vita (AL 82).
Ogni coppia di sposi è posta innanzi ad un interrogativo su cosa significhi divenire genitori, su quale sia la missione di accogliere un figlio.
Essere padri e madri responsabili vuol dire meditare il progetto di Dio sulla vita propria e di coloro che sono ricevuti in dono, quasi ripetendo le parole del profeta Samuele: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,10).
Il centro della decisione, della “pianificazione”, non sono più i coniugi, ma il Signore; la comunità cristiana ha il compito di accompagnare, con la formazione permanente e l’annuncio della Parola, queste scelte, affinché sia anteposta la possibilità di Dio ai limiti umani (AL 222).
Il figlio non è un qualcosa da possedere o un peso da sopportare, ma una persona da accogliere!
Nella nostra società, in cui la regola fondamentale è la ricerca dell’utile, del vantaggio individuale, la famiglia non può essere concepita secondo queste logiche.
I coniugi, ogni volta che si aprono ad una nuova vita, entrano in una dinamica di dono e testimonianza, di responsabilità e di attenzione per l’altro.
“Avere un figlio in più o in meno” non è una decisione che si fonda su elementi puramente umani, non è un semplice calcolo di opportunità, sacrifici o gioie, è porsi nell’ottica di Dio, il quale, senza che noi avessimo alcun merito nei Suoi confronti, ci ha donato la vita.
Il rapporto genitori-figli è la palestra per comprendere la gratuità dell’Amore, dato e ricevuto, e l’accoglienza al di là dell’amabilità e delle condizioni dei soggetti coinvolti.
Aprirsi alla vita vuol dire, però, offrire anche gli strumenti perché ciascuno possa svilupparsi per divenire realmente persona, compiendo la propria vocazione ultima, che è la santità.
Di conseguenza, i figli non saranno “proprietà” o “realizzazione” dei genitori; sono liberi, e nella libertà hanno diritto di crescere, per realizzare il progetto di Dio sulla loro vita (AL 18).
Come i genitori sono chiamati a mettere in pratica la paternità/maternità responsabile, i figli sono chiamati a mettere in pratica il comandamento “Onora tuo padre e tua madre”. Nel testo dell’Esodo, a questa norma si coniuga la benedizione “perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio” (AL 17).
Onorare il padre e la madre non è solo un adempimento di obblighi nei confronti di coloro che hanno contribuito a dare la vita, ma è soprattutto corrispondere all’Amore di Dio, autore e modello di ogni paternità.
Poniamoci nell’ottica, “scandalosamente reale”, descritta con fermezza e radicalità dal Cristo nel Discorso della Montagna: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,37); solo avendo per fondamento il Signore, ogni relazione sarà orientata al vero Bene, alla vera pace, alla meraviglia del Regno di Dio in terra.
Andrea Miccichè