Verità nella Carità: la creatività pastorale nel discernimento familiare
Eccoci giunti al punto mediatico nevralgico dell’esortazione di Papa Francesco: il rapporto tra Chiesa e “situazioni difficili”.
Per comprendere in modo chiaro l’approccio del Santo Padre è bene considerare attentamente il “dato cronologico” della stessa “Amoris Laetitia”, che è stata pubblicata il 19 marzo (ricorrenza della solennità di San Giuseppe) del 2016, Anno della Misericordia.
In questo binomio temporale vi sono i caratteri dell’azione pastorale: la custodia (simboleggiata dallo sposo della Vergine) della famiglia, istituzione di origine divina, e lo sguardo misericordioso verso i peccatori.
Il problema originario, da cui si origina la distruzione della famiglia, è la negazione di Dio; l’aspetto morale dell’amore coniugale è inscindibilmente legato con la questione della fede: perché possa sussistere un reale e continuo “sì” alla chiamata al matrimonio è necessario, prima di tutto, rispondere alla domanda rivolta da Cristo ai discepoli “Ma voi chi dite che io sia?”; Benedetto XVI esortava con fermezza a vivere la sequela con disponibilità e coraggio (Omelia per la Celebrazione Eucaristica conclusiva della XXVI GMG a Madrid) .
Senza l’accoglienza dell’annuncio cristiano, non si riceve il dono della fede;
di conseguenza, la “casa” rimane costruita sulla sabbia, fragile e indifesa davanti alle immancabili tribolazioni e tentazioni.
Il principale effetto è la dissoluzione del matrimonio: i motivi possono essere i più diversi, le responsabilità molteplici; il risultato è, comunque, sofferenza su sofferenza. Davanti al numero crescente di divorzi, si può restare insensibili, o arroccati su posizioni polemiche? Il Santo Padre ci chiama a sperimentare la creatività pastorale, per trasmettere la Verità nella fermezza e nella Carità.
La parola d’ordine è “discernimento caso per caso”: le variabili della storia personale non si rinchiudono in formule; in alcune situazioni è preferibile adottare la “linea dura”, in altre deve prevalere l’accoglienza, il tutto nell’ottica della Misericordia (AL 296-300).
Come Chiesa siamo chiamati a incarnare il Volto di Cristo, imitare i suoi gesti: il cammino di prossimità di Dio verso l’uomo non è sempre uguale, l’Amore si manifesta in modi sempre differenti, proprio perché ciascuno è unico nella propria identità.
Questo non vuol dire sminuire la gravità della violazione del precetto “l’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto” (Mt 19,6), ma ricordare che “Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3,20) ed è capace di ridonarci la vita.
Intervenire nelle situazioni di disgregazione vuol dire educare i coniugi a perdonare, ad amare senza misura, a riconoscere che, come Gesù ha donato la propria vita quando eravamo peccatori, così l’affetto trascende la crisi.
Fino alla fine, il Papa esorta i pastori a fare di tutto affinché il matrimonio non fallisca e, qualora i loro sforzi siano vani, ad accompagnare gli ex coniugi in un cammino per perseverare nella continenza, soprattutto nel caso dell’abbandono o della separazione moralmente necessaria, per i casi gravissimi di tutela del bene superiore della vita, della sicurezza dei figli (AL 242).
Il caso più complesso rimane quello dei divorziati risposati:
sebbene non siano scomunicati, come si può agevolmente notare considerando il Codice di Diritto Canonico, vivono una situazione irregolare, di negazione dell’indissolubilità e dell’esclusività del vincolo coniugale.
Non devono essere discriminati in alcun modo, ma sono bisognosi di un’attenzione particolare, che si sostanzia nell’accompagnamento da parte della comunità, nella predisposizione di percorsi di fede che culminino nel sincero pentimento e nella piena reintegrazione nel tessuto cristiano (AL 243).
Guarire significa diagnosticare il male che ha condotto alla rottura e dispensare la Grazia necessaria,
non escluso il riavvicinamento graduale ai sacramenti, definiti come “generoso rimedio e alimento per i deboli” (AL nota 351).
La stessa attenzione pastorale deve essere approntata in funzione preventiva: l’“Amoris Laetitia” si concentra, da una parte, sulla preparazione dei fidanzati al sacramento del matrimonio e, dall’altra, sulla maturazione di quei “semi di bene” nascosti nelle relazioni difficili che si moltiplicano (AL 78).
Conoscere il senso del tempo che conduce alla consapevolezza del consenso vuol dire affidare a Dio la propria vita e discernere il progetto sulla propria esistenza.
La spiritualità liquida che contraddistingue la nostra società si riflette in relazioni altrettanto fragili,
spesso non consacrate dal sacramento del matrimonio o, formalmente regolari, che nascondono profili di nullità (ad esempio vizi del consenso, totale assenza di consapevolezza, esclusione dell’aspetto procreativo…):
sono il sintomo di “un amore debole o malato, incapace di accettare il matrimonio come una sfida che richiede di lottare, di rinascere, di reinventarsi e ricominciare sempre di nuovo fino alla morte” (AL 124).
Qual è, dunque, la risposta che possiamo dare?
È la riscoperta della missionarietà (AL 208),
a partire dai laici e dalle stesse famiglie che maturano nella fede; i Maestri lasciano il passo ai Testimoni (Beato Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 41); la Chiesa, “famiglia di famiglie” (AL 87), assumerà, pertanto, in sé il carattere di San Giovanni Battista, nell’annunciare la conversione, e del Cristo, nel proclamare l’Anno di Grazia del Signore.
Andrea Miccichè