Il teologo ci spiega
Il termine “Giubileo” deriva dall’ebraico yobel, che rappresenta l’ariete il cui corno veniva suonato per segnalare l’inizio dell’anno giubilare.
Per comprendere appieno il senso del Giubileo della Misericordia dobbiamo rifarci al significato dell’Istituto del Giubileo che troviamo all’interno della legislazione di Israele (Libro del Levitico 25, 8-17). Tuttavia, prima di approfondire il contenuto di questo Istituto, è opportuno chiarire il contesto che ne giustifica la genesi.
Il riferimento principale è la liberazione di Israele dalla schiavitù di Egitto.
Dopo un cammino durato quaranta anni, in cui Israele ha vissuto nel deserto, sorretto dalle amorevoli cure del proprio Signore, il popolo di Dio entra in Canaan, l’attuale Palestina. Questa regione rappresenta la Terra Promessa, dove “scorrono latte e miele” (Esodo 3,17), cioè dove il popolo ed ogni suo membro vivrà libero, nell’abbondanza, in una parola: felice. Per garantire ciò, entrando nel paese donato da Dio, le tribù di Israele si dividono il territorio di Canaan in undici zone in cui si stabiliscono le tribù che costituivano Israele (solo la tribù di Levi non riceve una porzione della Terra Promessa, perchè i Leviti, che rappresentavano la casta sacerdotale, erano destinati alle funzioni sacre officiate nel Tempio e traevano il loro sostentamento proprio da tale attività). Pertanto, tutte le tribù di Israele avevano la loro parte di Terra Promessa, e all’interno di ogni tribù, ogni famiglia aveva la sua piccola proprietà terriera che ne doveva garantire il sostentamento e, in definitiva, ne tutelava la libertà.
La Terra Promessa era il mezzo che consentiva ad ogni israelita di non perdere il dono più importante che egli aveva ricevuto dal Signore: la libertà.
Per questo motivo non era assolutamente consentito vendere la porzione di terra assegnata alla famiglia, perchè il vero proprietario era e rimaneva sempre il Signore, che attraverso la terra, da Lui affidata al popolo, voleva consentire ad ognuno di poter trarre da essa tutto il necessario per vivere liberi e felici.
Purtroppo, questa scenario, che potremmo definire sicuramente idilliaco, ben presto rivelò molte crepe. A mano a mano che le stagioni si susseguivano, con il verificarsi di periodi di carestia o in presenza di avversità calamitose, molti israeliti erano costretti ad andare a lavorare da chi aveva disponibilità economiche, o come “salariato” o, addirittura, da “schiavo”.
Spesso si era anche costretti a cedere l’uso del proprio terreno, in cambio di ciò che era necessario a sostenere se stessi e la propria famiglia. Inevitabile anche il costituirsi di disuguaglianze tra coloro che diventavano sempre più ricchi e coloro che, al contrario, perdevano tutto e si riducevano in schiavitù.
Ciò non era tollerabile agli occhi del Signore. Per porre rimedio a queste disuguaglianza, fonte di molte ingiustizie, il Signore “dona” l’istituto del Giubileo. Ogni “sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni” (Lev 25,8) il Signore imponeva ad Israele che ogni membro del popolo tornasse “alla sua proprietà e alla sua famiglia” (Lev 25,10). In questo modo, il Giubileo intendeva ripristinare la situazione originaria che il Signore aveva determinato quando il popolo entrò per la prima volta nella Terra Promessa, quando ogni israelita era libero ed aveva i mezzi per il sostentamento suo e della sua famiglia. Il Giubileo ha l’obiettivo di restituire ad ognuno la libertà e la felicità che Dio ha donato al suo popolo facendolo uscire dalla schiavitù d’Egitto e facendolo entrare nella Terra Promessa. Proprio in memoria della liberazione del suo popolo operata dal Signore, l’anno giubilare viene dichiarato “santo” e con il suo avvento viene proclamata “la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti” (Lev 25,10).
In realtà non vi è traccia di una reale applicazione di tale Istituto nella storia di Israele. Il testo che più si avvicina al significato proprio del Giubileo lo troviamo nel libro del profeta Geremia (34,8-22) dove si narra del patto che il re Sedecia aveva concluso con tutto il popolo per una generale liberazione degli schiavi, “così da non tenere più in schiavitù un fratello giudeo” (Ger 34,9). Ma poco dopo aver rimandato liberi i fratelli caduti in schiavitù, coloro che avevano aderito al patto si pentirono della decisione presa, “ripresero gli schiavi e le schiave che avevano rimandato liberi e li ridussero di nuovo in schiavitù” (Ger 34,11).
Un importante testo tratto dal libro del profeta Isaia presenta in modo molto incisivo lo spirito insito nel Giubileo:
“Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria” (Is 61,1-3).
Nel vangelo di Luca Gesù farà suo questo testo di Isaia riferendo alla sua persona i compiti che l’inviato del Signore dovrà svolgere:
“Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,16-21).
Quindi, è in Gesù che si realizza questo particolare “anno di grazia” che chiamiamo Giubileo.
Tutta la sua azione mira alla realizzazione delle attese di liberazione insite nell’anno giubilare. Vediamo, ad esempio, come ce lo presenta il vangelo di Matteo: “Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano” (Mt 15,29-31).
L’azione di Gesù è stupefacente e suscita lo stupore di coloro che vedono ciò che lui compie. Tuttavia è molto più importante comprendere il motivo che muove Gesù ad operare verso coloro che sono nel bisogno. E’ lo stesso Matteo a spiegarcelo: “Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: Sento compassione per la folla” (Mt 15,32). “Avere compassione”: il verbo greco utilizzato da Matteo è lo stesso che viene riferito, ad esempio, al padre misericordioso da Luca quando vede comparire all’orizzonte il figliol prodigo che torna a casa (Lc 15,20), oppure al buon samaritano nel momento in cui vede al bordo della strada l’uomo ferito dai briganti (Lc 10,33).
Il verbo vuole sottolineare un amore viscerale, simile a quello che ha una donna che stringe tra le sue braccia il proprio bambino appena partorito. E’ un amore che non fa calcoli, che Gesù non può fare a meno di manifestare.
Il Giubileo, dedicato alla misericordia, ci fornisce l’opportunità di approfondire questo amore che Dio ha per in Gesù Cristo e di farne una esperienza diretta.
Da oggi e per tutto l’anno giubilare vogliamo iniziare un percorso di approfondimento della Parola di Dio che vuole contribuire a conoscere sempre di più il Dio della Misericordia, “Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef 1,3).
Fonte: ANS