Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente
La vita di Jorge Bergoglio prima di diventare Papa: le amicizie giovanili, la vocazione, gli anni terribili della dittatura argentina.
Ritratto discreto e commosso del papa, firmato da Daniele Luchetti (anche sceneggiatore assieme a Martin Salinas) che, nel raccontare con intensità il “suo” Bergoglio evita tante trappole che si annidano in operazioni analoghe: retorica, faziosità, sentimentalismo, “santino”. Luchetti, forse proprio perché laico e non credente, si avvicina alla figura carismatica del futuro pontefice con fare discreto e rispettoso sia degli accadimenti storici sia dei tanti incontri che, in qualche misura, formeranno l’umanità di Bergoglio.
Si parte nei giorni immediatamente precedenti il Conclave che eleggerà Papa Francesco.
Un Bergoglio anziano medita – con una voce fuori campo che appesantisce inutilmente la narrazione – sul proprio passato. I ricordi si affastellano nella mente del Cardinale e da lì si innesta il racconto della giovinezza e della maturità, reso con grande forza anche per l’interpretazione di un attore straordinario, Rodrigo De La Serna. Le amicizie giovanili di Jorge (anche con una storia d’amore che sembra star per sbocciare) sullo sfondo di un clima cupo e tenebroso che in seguito sfocerà nella crudele dittatura del generale Videla. Luchetti, con poche pennellate, rende già dalle prime sequenze la grande umanità di Bergoglio che diventerà il filo conduttore dell’intero film. Prima l’incontro, inaspettato con la Vocazione, ricordato in modo semplice e commosso come un incontro con un Padre che ti attende.
Poi l’ingresso tra i Gesuiti e la prima “crisi”, per dire così a causa del rifiuto dei suoi superiori e anche del suo padre spirituale (che poi si incontrerà nuovamente nel corso della narrazione) di mandarlo in Giappone come missionario. Devi imparare ad amare, gli dicono, decisi, senza rimbrotti. E lui obbedirà come sempre alla Chiesa, vera e propria ancora di salvezza e pietra di paragone anche nei momenti difficili della dittatura.
Il racconto della sopravvivenza e del contrasto silenzioso di Bergoglio sotto la dittatura è la parte più centrata del film. Un po’ perché Luchetti dirige bene, con un buon senso del ritmo e della verosimiglianza storica: quasi un thriller con protagonista una figura di spicco dei Gesuiti (Bergoglio, pure giovane, era già Padre provinciale dell’Ordine per l’Argentina e rettore di un importante seminario) che è fermo nella condanna della lotta armata contro la giunta militare (cui partecipavano anche alcuni preti) senza comunque appoggiare il potere come purtroppo alcune figure della Chiesa fecero. Luchetti, proprio attraverso tanti piccoli incontri tra Bergoglio e persone di estrazione sociale varia, mostra con chiarezza che il suo obiettivo primo era preservare la dignità e la vita umana in un contesto in cui, quotidianamente, avvenivano esecuzioni sommarie e torture. Da questo punto di vista gli episodi di più felici sono quelli con protagonista una giudice che si oppone alla giustizia sommaria della dittatura e con cui Jorge intesse un rapporto sincero e una bella amicizia che va ben al di là del contrasto ai generali.
Non è lei la sola a rimanere colpita dalla compagnia affettuosa di questo strano prete: c’è un’amica che ha visto la figlia incinta finire tra i desaparecidos per cui il gesuita si prodiga in una triste ricerca; ci sono giovani religiosi che rischiano di essere scambiati dal potere per fiancheggiatori dei terroristi che verranno invitati da Bergoglio a scappare di notte proprio per non dare il destro al governo fascista di attaccare il seminario.
Sul ruolo della Chiesa sotto Videla, Luchetti appare molto equilibrato: non nega le complicità di alcuni sacerdoti, veri e propri traditori (come il prete spia nel seminario retto da Bergoglio), altri coraggiosamente ostili ma anche pericolosamente vicini alle frange armate: in mezzo, tanti sacerdoti e anche alti prelati dominati da una giustificabile paura e dal timore di prendere una posizione, più per pavidità che per reale complicità. Bergoglio fu tra i pochissimi, pur non essendo il solo, ad adottare una visione realista: sfruttò la sua posizione prestigiosa per salvare tanti oppositori del regime senza ufficialmente rompere con i militari. Una posizione che non nasceva da un calcolo politico ma dalla preoccupazione di salvare tante vite che gli erano state affidate. Una posizione umana e realista di un uomo grande, umile e coraggioso, non privo di difetti o di asprezze caratteriali (come si sottolinea bene in alcune sequenze, come lo scontro con una suora).
Equilibrato nel complesso, con qualche passaggio un po’ frettoloso e concentrato in un’ultima parte, quella degli anni 90, in cui si corre un po’ troppo, Chiamatemi Francesco convince per la sincerità di fondo che poteva benissimo non esserci in un’operazione commerciale uscita a ridosso del Giubileo; e per giunta su un personaggio popolarissimo come Papa Francesco, per di più vivente. Invece, al di là delle ragioni commerciali, è un film serio che celebra un incontro: quello del futuro Papa con la persona di Cristo, fino a scendere sui volti che in tanti gioirono il giorno di quella inaspettata elezione.
Simone Fortunato