«Dobbiamo lavorare molto sulla terra; e dobbiamo lavorare bene, perché è proprio il lavoro quotidiano che va santificato. Pertanto, non dimentichiamo mai di compierlo per Iddio. Se lo realizzassimo per noi stessi, per orgoglio, produrremmo soltanto fogliame».
“Non è possibile parlare del lavoro senza considerarlo in rapporto con le grandi domande di senso che si agitano nel cuore dell’uomo. Le risposte a queste domande caratterizzano il nostro stile di vita e, in particolare, il nostro modo di lavorare.”
In un mondo in cui l’ambizione e la competitività sembrano assurgere a valori supremi, e il lavoro è spesso considerato soltanto un mezzo per arricchirsi e fare carriera, la voce di Pippo Corigliano esce prepotentemente dal coro, suggerendo una chiave di lettura tanto inconsueta quanto profonda dell’attività professionale, un aspetto fondamentale nell’esistenza di ogni uomo: la vita ordinaria come scenario di una vita santa e il lavoro quotidiano come strada verso l’unione con Dio. Esiste dunque un legame inscindibile tra le sfere della spiritualità e dell’agire pratico, un nesso che diventa evidente anche nell’atteggiamento con cui ciascuno di noi affronta le incombenze di ogni giorno: la capacità di svolgere con impegno e allegria i compiti che ci spettano, di ascoltare gli altri, di essere attenti ai loro bisogni dipende, sostiene Corigliano ispirandosi all’insegnamento di san Josemaría Escrivá, da ciò che abbiamo nel cuore e dalla consapevolezza che, con il nostro lavoro, stiamo collaborando alla grandiosa opera di Dio. Prenderne coscienza, coltivare la propria spiritualità, corroborarla con la preghiera e far sì che traspaia da ogni gesto è il primo, indispensabile passo verso quella “santità laica” di cui il mondo lamenta sempre più la mancanza.
Vi proponiamo anche la interessante recensione di Sonia Vazzano
Questa recensione è un po’ particolare. E forse serve più a chi la scrive che non a chi il libro l’ha scritto. Ma l’intento vero è che serva comunque a chi ancora non l’ha letto.
Pippo Corigliano è un amico e in genere degli amici amo parlare poco, e meno scriverne per un pubblico ampio, perché l’amicizia se la cominci a “svelare” poi non riesci a trattenerla più. E allora ti rimane sempre un po’ la paura di condividere troppo qualcosa che in fondo è un po’ solo per te. E se decidi di farlo, è perché c’è qualcosa di più nell’amico che senti di dover condividere.
E allora non dirò di Pippo e di questa sua ultima “fatica”, ma parlerò di maestri e di relazione, che, a mio avviso, sono i due cardini attorno ai quali ruotano queste sue pagine (Siamo in missione per conto di Dio. La santificazione del lavoro, pp. 140, Mondadori 2015).
La santificazione del lavoro, nel lavoro e degli altri con il lavoro – che Pippo Corigliano ha imparato da san Josemaría e nella vocazione all’Opus Dei – è la convinzione che non è difficile trasformare il lavoro in un dialogo di preghiera (cfr. Amici di Dio, Lavoro di Dio, pt. 67). E che nella barca di ciascuno di noi con naturalezza entra… il Maestro (cfr. Amici di Dio, Grandezza della vita quotidiana, pt. 21). Sì, proprio il Maestro, e i maestri…
Un adagio talmudico recita che «Il mondo sta in piedi solo per il respiro degli studenti» (Resh Laqish in nome di Yehudah Hanassi, bShabbat 119b). Ieri nella presentazione del libro di Pippo, ho capito che tale respiro è alimentato da passione, meraviglia e sorriso.
E poi da legame, conoscenza e disposizione.
Pippo ha presentato (sì, proprio lui, e già questo la dice lunga sull’autore di queste pagine) con queste caratteristiche i suoi maestri. Quelli che riconosci e scegli come tali. Quelli che ti insegnano cose che non stanno sui libri. Quelli che ti trasmettono l’essere del maestro. Quelli che ti ricordano sempre la tua missione più grande: forse quella che non conosci ancora e che magari neanche loro conoscono, ma che di certo ti aiutano a scoprire.
I maestri di cui parla Pippo in questo libro sono tanti. Io oggi volevo ricordare quelli che a noi Pippo ha presentato ieri. E lasciare ai lettori la scoperta di tutti gli altri.Perché è inutile dire che è proprio bello avere tanti maestri così!
Alla sua destra Ettore Bernabei: la personificazione della passione. Chissà cosa ha significato per i suoi figli, per i suoi nipoti, per i suoi amici un uomo così? Bernabei “apre” il libro di Pippo e sembra in qualche modo accompagnarlo fino alla fine, con una narrazione che è frutto di un impegno di vita in cui il lavoro è la passione dominante, quella del perseverare con lo slancio del lavoro incominciato con passione umana e soprannaturale (cfr. Amici di Dio, Lavoro di Dio, pt. 63). Ora capisco perché Bernabei è stato un maestro per Pippo nella santificazione del lavoro: nella sua incessante missione di comunicarne la passione!
Una passione che lega e che crea legami.
Accanto a Bernabei, l’unica donna della serata, e chiedere che fosse un’artista è stato veramente chiedere il massimo. Di Paola Grossi Gondi mi resta nel cuore la meraviglia.
E se meravigliarsi fosse preghiera? Un inno a Dio per quello che dà all’uomo cui non si può rispondere con altro se non con la propria meraviglia? L’artista, ormai conosciuta soprattutto per una delle sue ultime opere Il filo rosso della Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma, ci racconta con semplicità i suoi occhi meravigliati sul mondo e sulle cose, che poi si traducono in gesti d’amore nei confronti di chi il Maestro per eccellenza decide di mettere sul nostro cammino. Come Bernabei è maestro di passione, Paola è maestra di meraviglia: di un lavoro ben fatto in cui si scopre che la santificazione nasce dalle piccole cose, tratti infiniti di un disegno in cui l’Artista guida la nostra mano e viene a cercarci proprio là, nell’esercizio della nostra professione (cfr. Cammino, pt. 799). Laddove la meraviglia e la ricerca della bellezza si fanno conoscenza.
E alla sinistra di Pippo c’è Pierluigi Bartolomei, testimonianza chiara e semplice di ciò che rende santo il lavoro di ogni giorno: il sorriso. Il sorriso di chi riesce a mantenerlo nonostante ciò che vede. Di chi continua a sorridere se anche nel percorso la tristezza rischia a volte di prendere il sopravvento. Di un padre e di un marito che prima di mettersi a lavorare ogni giorno, si ricorda della propria mission nel mondo: l’allegria di chi si sente figlio di Dio. E di chi lavora con le mani, di chi pianta alberi, di chi mette le ultime pietre (cfr. Cammino, pt. 42). Bartolomei è il volto della santità che sorride nonostante le difficoltà, in una professione che spesso forgia il cuore squarciato di fronte agli occhi che guardano la realtà difficile di tutti i giorni. Del cuore che si fa disposizione.
Tre testimonianze – di passione, di meraviglia e di sorriso – che raccontano chi sono i veri maestri di Pippo. Sono uomini e donne di relazione – di legame, conoscenza, disposizione – che spesso non vivono sotto i riflettori, che vanno piano mentre il mondo va veloce, che rimangono poveri perché hanno capito di aver bisogno di Dio. Che riconoscono come nulla accada a caso e che ogni persona che ci passa accanto è un miracolo da scoprire, con quello che abbiamo, che siamo e che desideriamo.
I santi sono un po’ dei supereroi? La missione di cui parla Pippo è impossibile oggi per tutti gli uomini? Forse un po’, e forse ci piace pensare che se proviamo ad essere santi sapendo che è difficile magari un po’ lo stiamo diventando già. Perché a volte non serve la santità che cambia il mondo, ma solo quella che si riconosce come dono. Un dono che prima di ricevere si è chiesto. Un dono che ancor prima di chiedere si è riconosciuto negli occhi del proprio maestro.
Pippo si è preso un bell’impegno con questo libro. Ha quasi “canonizzato” in terra dei personaggi ancora viventi. O questo almeno è quello che tanti potrebbero obiettare di fronte ad un titolo cosi. In realtà se è vero che i santi, come dice papa Francesco, sono uomini e donne che «hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri», è anche vero che «essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità. […]
È una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome […], ha un volto: il volto di Gesù». Il volto del maestro.
Ecco perché questo libro, lungi dall’essere una “canonizzazione anticipata”, è “solo” un inno ai maestri di ogni generazione, che non sono tali perché sono più anziani di noi, e che non sono tali perché qualcuno ce li ha presentati così. Ma solo perché di fronte ad essi non si può non ringraziare.
Questo libro mi ha insegnato una volta di più la fortuna di poter dire “grazie”, sempre e comunque. Perché nella mia giornata quotidiana, nel mio lavoro di ogni giorno, nel mio sforzo continuo di scoprire i miei doni e di provare a farne briciole di santità, posso dire anche io di avere avuto dei maestri. E forse sit mihi terra levis.