A pochi giorni dalla morte di uno studente caduto dalla finestra di un hotel milanese, in occasione di una visita di istruzione e nella settimana che ci avvicina alla Commemorazione dei Defunti, mi sono trovato a leggere un pensiero dello scrittore francese André Malraux:
«Quello che pensiamo della morte ha importanza solo per quello che la morte ci fa pensare della vita».
È proprio vero che la morte ci mette davanti la vita e il modo in cui si è vissuta o si è finta di viverla; la sbatte in faccia spesso negli ultimi istanti e questo rewind riguarda non solo chi sta per lasciare il mondo, ma anche chi gli è vicino o dovrebbe esserci.
Insomma, quel momento può dirci davvero chi siamo stati e, per coloro che restano, pure chi saranno! Infatti, chi sono stati, chi sono e chi saranno i compagni di scuola del giovane caduto?
È stato trovato nelle prime ore del mattino – così racconta la cronaca – ma non perché qualcuno dei compagni abbia avvertito la polizia, la sorveglianza, i docenti, l’ambulanza.
Era lì, solo, senza vita, senza quei cosiddetti “amici” con cui aveva poco prima condiviso l’eccesso e lo sballo. Era lì, a pezzi, forse con un alito ancora di vita, forse con la certezza che quei cosiddetti “amici” si sarebbero chinati su di lui e avrebbero chiamato aiuto.
Era lì e lì è rimasto, solo, mentre gli altri “placidamente” erano tornati a dormire!
Sballati, incoscienti, terrorizzati, inconsapevoli, deficienti? In ogni caso, potendo scegliere, hanno fatto la peggiore scelta possibile e questo, purtroppo, è un film già visto in altre visite di istruzione finite male.
Delle responsabilità dei docenti e delle famiglie, abbiamo già scritto nella pagina precedente di questo “Diario”, per questo ora ci si concentra sugli studenti. Qualcuno ha detto che “sono ragazzi”, altri che “a questa età si può sbagliare facilmente”, altri ancora che “la responsabilità non è loro”.
Le questioni da affrontare sono: quando cresceranno?
Quando potremo ritenerli responsabili della propria vita e di quella degli altri?
Lungi dal volere generalizzare, a 17 anni diversi ragazzi prendono patenti varie per guidare moto e macchinette, scendendo in strada né più né meno come gli adulti; a 17 anni i genitori gli affidano fratelli e sorelle minori da accompagnare a scuola con i suddetti motori o automobiline; a 17 anni molti hanno una vita sessuale piena ed attiva; a 17 anni qualcuno è già stato ammesso nelle prestigiose università; a 17 anni tutti hanno le chiavi di casa, luogo pieno di responsabilità; a 17 anni, pur sapendo che è illegale, compri l’alcool per festini vari; a 17 anni sai dove andare a trovare lo spacciatore di turno per la droga e questo non ti fa paura, magari ti fa sentire speciale; a 17 anni c’è chi ha combattuto e combatte guerre, c’è chi ha già figli propri, c’è chi lavora, chi è campione nello sport e famoso nello spettacolo.
Dunque, si è responsabili solo in alcuni casi ed in altri no? Si è “grandi abbastanza” per certe cose ed altre no?
Questa morte tragica e tutte le altre simili ci pongono davvero domande serie sul vivere o dovrebbero porle; se per chi muore non c’è una seconda opportunità su questa terra, c’è certamente una seconda possibilità per chi resta, però è necessario indossare l’abito coraggioso della responsabilità personale e al contempo mettere a nudo la propria coscienza.
Solo così, facendosi aiutare dagli adulti educatori, quella tremenda notte potrà essere un minimo illuminata dal raggio della verità che rende sempre liberi!
Marco Pappalardo