Goethe ha scritto:
«Il nome di un uomo non è come un mantello che gli sta penzolante e che gli si può strappare o cacciare di dosso, ma una veste perfettamente adatta, o come la pelle concresciutagli che non si può graffiare senza far male anche a lui».
Sto concludendo in questi giorni una settimana di studio della lingua inglese a Malta, accompagnando un gruppetto di studenti in gamba che, finita la scuola, hanno ancora voglia di studiare e di coniugare mare, cultura, nuove amicizie, gioia. Dal primo giorno sono rimasto attratto dal fatto che, sulla facciata delle abitazioni, vicino la porta che dà sulla strada, spesso al posto del numero civico, ci sono delle targhe di pietra ciascuna con un nome: Sunrise, Ave Maria, Fatima, Sunray, Rose, Florida, Angelo, Joseph, Solitaire, Victoria, Doris, St. Anthony, ecc.
Nomi di santi, l’incipit di una preghiera, nomi astratti, denominazioni di luoghi famosi, soprattutto nomi propri. Qualcuno dirà che è così anche dalle nostre parti, lo si vede in alcune ville antiche all’ingresso.
È vero, ma a Malta ogni casa ha un nome!
Quando, poi, sono nomi propri di persona, è come se ci fosse affacciato alla porta il proprietario, lì a salutare e dirti che non sono solo pietre, ma c’è vita.
Questo aspetto mi ha ricordato quanto sia importante il chiamare per nome nella relazione educativa. Il nome proprio identifica e dietro dice una realtà, parla della persona stessa e la fa sentire tale, direi anche importante.
Partire dal nome per arrivare al cuore dei giovani, è stata la riflessione che mi è sorta in questi giorni di scuola alternativi e piacevoli.
Esso indica la persona almeno finché la si conosce superficialmente, è segno di ciò che si è e si porta con sé, voce primitiva e familiare che richiama l’essere stati voluti bene. Da qui si può andare oltre, prendere il largo, puntare al cuore delle cose, mettendo in gioco le capacità relazionali e pian piano costruendo un rapporto quotidiano che dal nome passerà alla conoscenza della famiglia, degli studi, degli hobby, degli interessi, della dimensione religiosa, degli affetti, dei sogni, delle paure, ecc.
Lo stile non è quello dell’interrogatorio ma della conversazione, né del curioso bensì di chi mostra interesse con discrezione e nella libertà.
Ricordo di aver legato con i ragazzi “più difficili” della scuola quando li andavo a scovare mentre fumavano la sigaretta di nascosto. Oggi con una parte di questi alunni, ormai “ex”, si fa volontariato insieme aiutando i più piccoli, i senza dimora, gli immigrati.
La relazione educativa richiede fatica, impegno, cura, costanza, fantasia, pazienza, preghiera, riflessione, confronto, verifica, cambiare idea, chiedere scusa, farsi perdonare.
Questi elementi non nascono dai libri e dalle teorie, ma è un cuore disponibile a trasformali in vita concreta prima, in esperienza e poi in testimonianza.
Come la facciata di una casa di Malta è il volto della stessa, così ogni nome è il “volto” di una persona, quest’ultima unica e irripetibile.
Marco Pappalardo