L’incontro di una mamma con il suo figlio a lungo atteso e sognato.
Questo articolo è una piccola perla: una pagina di diario di una mamma che va in Colombia per adottare un bambino. E’ un ricordo commosso e tenero. Il bambino, ora, è un simpaticissimo alunno della scuola FMA di Melzo.
Eccoci, dopo una lunghissima notte insonne, dopo giorni trascorsi a far giocare gli altri bambini del nostro residence sperando che le ore passassero in fretta, dopo mesi passati ad immaginarti e sognarti, siamo in un’aula dell’ICBF (il tribunale dei minori colombiano), due avvocati ci stanno spiegando tutta la trafila burocratica che dovremo affrontare dopo l’incontro con te… ma chi se ne frega in questo momento di sentenze, tribunali, atti e procure, non riesco a stare seduta, decido di alzarmi e inizio a preparare i palloncini e il gioco che ti abbiamo portato. Ad un tratto Olga, il nostro avvocato, si alza, indica la porta e ci dice: “Aspettate qui, sta arrivando”.
Aspettate qui? Ma è impazzita? Io non riesco più ad aspettarti! La seguo e ti vedo arrivare accompagnato dalla tua psicologa e dalla tua assistente sociale. Ma quanto sei bello? Gli occhi impauriti, l’espressione di chi non capisce cosa gli stia succedendo, mi vedi, mi guardi, mi sorridi e mi dici recitando a memoria: “Hola mama yo soy Pedro” e poi, dimenticando tutto quello che ti avevano insegnato e che dovevi fare in questo momento, corri verso il gioco ed i palloncini, mi guardi ancora e con lo sguardo da furbetto aggiungi: “Ehi mama jugamos?”. In tutti i corsi ci avevano detto di non illuderci, ci avresti chiamati “mamma e papà” solo perché qualcuno ti aveva detto di chiamarci così, tu non sapevi nemmeno cosa fossero una mamma ed un papà, adesso mi chiedo se psicologi ed operatori del settore abbiano mai vissuto in prima persona questo momento.
Ti guardo e penso che non mi appartieni e non lo dico solo perché non ti ho portato nella pancia. Ma sono impazzita?
Ti ho aspettato per tanti anni, ho pianto appena rientrata in casa dopo ogni annuncio di gravidanza di amiche, colleghe o parenti, ho vissuto con un nodo in gola ogni visita nel reparto maternità ed ho partecipato con il cuore triste a tutti i battesimi mentre tu non c’eri e ora il primo pensiero è “Non mi appartiene”.Continuo a darmi della pazza ma mentre ti guardo giocare non riesco a non pensare che appartieni ad un Altro, che appartieni a Colui che ho incolpato perché la vita non andava come volevo io, a Colui contro cui ho urlato, pianto e accusato di avermi lasciata sola, a Colui che mi ha fatto incontrare una persona che mi ha detto: “Oggi Dio non ci parla più da un roveto ardente, hai mai pensato che forse da te, se non ti da un figlio di pancia, vuole altro? Perchè ti vuoi male e distruggi il tuo matrimonio volendo la pancia a tutti i costi?”.Ed è da quel momento che sono cambiata, che ho iniziato a guardare in maniera diversa la stessa realtà di prima, a chiamare Grazia quella che all’inizio consideravo una disgrazia, sì Grazia perché mi ha permesso di rincontrarLo, di rincontrare il papà e di incontrare te oggi.
Mamma Sabrina