Dall’intervista di Fabio Colagrande a Don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani
In occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco, nel pomeriggio a Torino l’incontro di Papa Francesco con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
R. – Per noi, Salesiani di Don Bosco e della Famiglia Salesiana, è prima di tutto un grande omaggio che ci fa Papa Francesco. Siamo veramente molto riconoscenti per questo, per questa grande sensibilità ed amore; ma anche per quello che lo Spirito ha fatto in Don Bosco. Allo stesso tempo, quindi, noi diciamo veramente grazie a Papa Francesco, perché questa per noi non è soltanto una visita di cortesia: la presenza del Papa è una parola della massima autorità, di grande autorità ed è una spinta ad essere sempre più fedeli al Signore Gesù, allo Spirito e al carisma che abbiamo ricevuto. Crediamo che questo sia un momento per crescere, un invito a crescere, cui credo senza dubbio Papa Francesco ci chiamerà.
D. – Quali elementi del Magistero di Papa Francesco sentite più vicini come Salesiani?
R. – Io credo che tutta la Chiesa senta molto vicino questo Magistero del Papa: è così pratico, si capisce così bene… Noi – e questo è stato chiaro sin dall’inizio del suo Pontificato, quando Papa Francesco, parlando a tutta la Chiesa, l’ha invitata ad andare veramente alle periferie – questo tema delle ‘periferie’ lo sentiamo molto vicino. Io ho detto tante volte ai miei confratelli e alla Famiglia Salesiana: “Carissimi, cos’è stato Valdocco se non una periferia di Torino ai tempi di Don Bosco?”. Questo a noi parla veramente del nostro dovere di andare sempre tra i giovani e tra di loro fra i più poveri. Secondo: questa parola universale di una Chiesa in uscita. Per noi è lo stesso.
Io dico sempre ai miei confratelli: “Non è sufficiente – anche se è molto importante – avere le porte delle nostre case salesiane aperte a tutti. Questo è certamente bello, ma siamo noi che dobbiamo andare a cercare quelli che sono più lontani e che si sentono più lontani. Questa è una seconda realtà molto cara a noi. Terzo: la realtà di una Chiesa povera che per noi significa essere una congregazione per i poveri. Anche questa è una parola che io ripeto e dico tanto ai miei confratelli. Ma soprattutto l’evangelizzazione: noi siamo una famiglia religiosa per evangelizzare. Mai dobbiamo dimenticare che questo è il nostro primo compito.
D. – Don Angel, come vivete questo bicentenario? Che attualità ha oggi il carisma di Don Bosco?
R. – Lo stiamo vivendo veramente come un anno di grazia del Signore. Abbiamo fatto tante cose per cercare di non celebrarlo in maniera vuota, ma per celebrarlo nella preghiera e nell’ascoltare cosa oggi ci dice il Signore. E qualsiasi cosa abbiamo fatto è sempre stata cercando i giovani e i più bisognosi. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, io credo veramente – e questo lo ho sentito girando per il mondo – quest’anno sono andato in 25 nazioni, delle 132, in cui siamo presenti – che Don Bosco sia un dono vero dello Spirito a tutta la Chiesa e al mondo. Don Bosco ha veramente una grande attualità. Ma in che senso? Portare i giovani a Dio, portare i giovani vicino a Gesù.
Questo compito per noi non cambia, perché è la realtà che è stata per Don Bosco, per Madre Mazzarello e per tutti coloro che ci hanno preceduto; ma devo dire anche perché Don Bosco ha cercato sempre di essere molto vicino al cuore dei giovani, che è sempre lo stesso: 150 anni fa, 100 anni fa ed oggi. Questo vuol dire che quando un giovane vede – dalla sua esperienza personale – che è voluto bene, che quella persona è veramente un educatore-educatrice, un amico-amica, un fratello-sorella, il giovane dice: “Qui mi trovo bene! Qui mi sento a casa!”. Il cuore del giovane è aperto, è aperto a un rapporto bello, ad un rapporto educativo, è aperto a Dio.
Questo è Don Bosco ancora oggi.