SESTA SETTIMANA
Maria, mia madre
(Dal testo “Cinque pani e due pesci”)
Maria, Madre mia,
Madre di Gesù, Madre nostra,
per sentirmi unito a Gesù e a tutti gli uomini, miei fratelli,
voglio chiamarti Madre nostra.
Vieni a vivere in me, con Gesù tuo amatissimo Figlio,
questo messaggio di rinnovamento totale,
nel silenzio e nella veglia, nella preghiera e nell’offerta,
nella comunione con la Chiesa e con la Trinità,
nel fervore del tuo magnificat unito a Giuseppe, tuo santissimo sposo,
nel tuo umile e amoroso lavoro
per portare a compimento il testamento di Gesù,
nel tuo amore per Gesù e Giuseppe, per la Chiesa e l’umanità,
nella tua fede incrollabile in seno alle tante prove sopportate per il Regno,
nella tua speranza, che ininterrottamente agisce,
di costruire un mondo nuovo di giustizia e di pace,
di felicità e di vera tenerezza,
nella perfezione delle tue virtù, nello Spirito Santo,
per divenire testimone della Buona Novella, apostolo del vangelo.
In me, o Madre, continua a operare,
a pregare, ad amare, a sacrificarmi;
continua a compiere la volontà del Padre,
continua a essere la Madre dell’umanità.
Continua a vivere la passione e la risurrezione di Gesù.
O Madre, mi consacro a Te, tutto a Te, ora e per sempre.
Vivendo nel tuo spirito e in quello di Giuseppe,
io vivrò nello spirito di Gesù,
con Gesù, Giuseppe, gli angeli, i santi, e tutte le anime.
Ti amo, o Madre nostra, e condividerò la tua fatica,
la tua preoccupazione e il tuo combattimento
per il regno del Signore Gesù.
Amen.
Con la sesta domenica di Avvento, dedicata alla Divina Maternità di Maria, ci addentriamo nelle Ferie prenatalizie dell’Accolto, giorni in cui l’attesa si fa più intesa perché la salvezza è davvero vicina. Il mistero del Natale rinnova in noi anche alcune consapevolezze che devono accompagnarci lungo l’agire concreto delle nostre giornate e che, dal Natale, devono riverberarsi nell’ordinario del nostro quotidiano.
Per questo, questa settimana ci lasciamo guidare dalle parole di don Juan Vecchi sdb, già Rettor Maggiore dei Salesiani.
«Maria, da parte sua, conserva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Maria non deve venire, come i pastori, al luogo dove accade l’incarnazione. Essa è già lì, è parte dell’avvenimento. Non deve sentire da altri come sono andate le cose e quale significato hanno. Essa conserva memoria di tutte le promesse fatte all’umanità, come dimostra il Magnificat, ed è consapevole che colui che è cresciuto nel suo seno viene dallo Spirito Santo.
Una volta visto il bambino, Maria non si allontana come i pastori, dal luogo dell’avvenimento. Rimane. Non può allontanarsi. Dovunque Gesù si incarna, lei è indispensabile. Non capisce ancora tutti i significati che si sprigionano, né può enumerare tutte le energie che scaturiscono dall’incarnazione.
Significati ed energie si riveleranno lungo la vita di Cristo e lungo tutti i secoli. Però Maria conserva nel cuore il ricordo dell’avvenimento, lo tiene caro, lo medita, ne è attenta e all’occasione lo sa ripensare per estrarne nuove conseguenze.
È la figura della Chiesa e del suo rapporto col nascere e crescere di Cristo nel mondo e in ciascun popolo. Anch’essa, la Chiesa, è parte dell’avvenimento dell’incarnazione e dimora ovunque Cristo viene introdotto e diventa buona notizia. Anch’essa non sa ancora tutto quello che su Cristo i tempi riveleranno. Ha però nel cuore e nella memoria un avvenimento che la illumina: Gesù, Parola di Dio che si è fatto uomo. Di esso qualche cosa vede e qualcos’altro intravede appena, qualche cosa capisce e qualche cosa le è oscuro, perché si deve ancora rivelare. Ciò le serve per gioire internamente, per rimanere serena, per lavorare, per orientarsi. Intanto non si allontana da Cristo, riferisce su di lui, lo testimonia, lo annuncia.
Questa è la meditazione di Luca. E anche a noi può suggerire alcuni spunti di meditazione sulla nostra spiritualità pastorale.
Noi non possiamo essere solo visitatori, turisti della Parola e del mistero di Cristo. Sant’Agostino, paragonando i tre atteggiamenti di cui abbiamo parlato, domanda al cristiano: A chi assomigli? A coloro che sentono l’annuncio e soltanto si stupiscono? Ai pastori che vengono alla grotta, prendono qualche notizia e partono per annunciarla, o a Maria che coglie tutta la verità di Cristo, la serba nella mente e la medita continuamente? L’ammirazione dei primi si diluisce presto; l’informazione dei pastori, pur dettata dalla fede, è imperfetta e germinale. Soltanto chi ricontempla e interiorizza il mistero di Cristo può estrarne nuova luce e significati per i tempi e per i popoli.
La storia della Chiesa annovera molte figure di evangelizzatori di primo piano. Sono tutti «meditatori» pazienti della Parola. Quello che hanno approfondito nella preghiera e nello studio lo esprimono nella predicazione, negli scritti, nella guida della comunità cristiana, nell’orientamento delle anime.
Comunicare l’avvenimento di Cristo è la nostra professione e la finalità della nostra vocazione. Dobbiamo esserne specialisti non tanto per l’uso dei mezzi tecnici, ma perché lo avviciniamo con calma e tempo, ne ricaviamo luce per la nostra vita personale, lo confrontiamo comunitariamente con quello che osserviamo nel nostro ambiente: questo si chiama interiorità.
L’incarnazione, cioè la presenza salvifica di Dio nella vita degli uomini attraverso Gesù, oltre che oggetto di meditazione, sarà per noi anche criterio pastorale.
Ciò comporta tre cose:
– la nostra disponibilità ad assumere con prontezza la realtà che dobbiamo evangelizzare, inserendoci nel popolo a cui siamo inviati e comprendendo nella fede la sua cultura;
– la convinzione che in tutto quello che cresce dal punto di vista umano c’è una misteriosa presenza e azione di Dio e che ogni rivelazione di Dio produce una crescita in umanità;
– lo sforzo di individuare le attese e le domande delle persone e dei popoli, per noi soprattutto dei giovani, che sospirano per l’avvento del Redentore.
(Tratto da: J. E. Vecchi, Spiritualità salesiana. Temi fondamentali, pp. 208-210)