Animatori… il tesoro dell’oratorio!

Guardando fuori dalla finestra non sembra, eppure… l’estate è alle porte, la campanella della scuola sta per suonare per l’ultima volta e gli oratori stanno scaldando i motori per la grande esperienza estiva. C’è chi la chiama GrEst, chi Estate Ragazzi, chi Oratorio Estivo, chi Oratorio Feriale, ma la ricetta è sempre la stessa: amicizia, Vangelo e la cura dei più piccoli portano migliaia di adolescenti a trascorrere le settimane più promettenti dell’estate nei cortili degli oratori.

 

Una di loro, alla domanda “perché anche quest’anno vuoi fare l’animatrice in oratorio?”, ha risposto così:

Scelgo di fare l’animatrice perché, nonostante la stanchezza, il sudore e la sporcizia che porterò a casa ogni giorno, avrò un cuore pulito, felice e soddisfatto. Non c’è niente di più soddisfacente di mettersi al servizio dei più piccoli e di tornare a casa con amicizie profonde e pure. Per me questo è oratorio estivo”. (Beatrice, 17 anni)

 

Tre rivelazioni

Quest’anno, l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, durante il consueto incontro con gli animatori in piazza Duomo, ha parlato loro a cuore aperto, consegnando tre “rivelazioni”.

Riportiamo di seguito il testo del suo intervento, e ci auguriamo che questa estate possa essere davvero occasione di incontro con Gesù, pienezza della vita, per tanti ragazzi e adolescenti.

 

Omelia dell’arcivescovo mons. Mario Delpini all’incontro animatori in piazza Duomo, 26/05/2023

In mezzo alla confusione una rivelazione.

La confusione: un mucchio di messaggi, quelli che mando io, quelli che ricevo; un mucchio di rumori, di musiche, un mucchio di cose da fare e non so più da che parte andare! 

E poi la confusione dentro di me: ma io chi sono? Ma io cosa servo? Ma io merito l’attenzione di qualcuno? 

La confusione intorno: in casa, con tutti che gridano, vanno, vengono… e la confusione nel mondo: con i messaggi che mi stordiscono; e la confusione dentro di me.

Ecco, in questa confusione passo vicino a un oratorio, mi addentro e decido quest’anno di fare l’animatore, l’animatrice. In questa confusione io ricevo una rivelazione.

Ecco, ho imparato che sono capace di amare, sono capace di prendermi cura degli altri, sono capace di fare del bene. 

Nella confusione una rivelazione. Sono capace di amare. 

 

E nella oppressione dei miei complessi, una rivelazione. Ciascuno di noi, anche tu, hai dei complessi. Non ti piaci, soprattutto se ti confronti con gli altri, ti sembra di essere sempre indietro, inferiore: “ma io non sono bella come quella là”, “ma io non sono simpatico come quello là”; “ma io non sono così sciolto come quello là”, “ecco, io non valgo niente, io non sono capace di fare niente, io tutto quello che faccio è un disastro e i miei genitori si aspettano da me sempre delle cose che poi io non riesco a fare”. 

Ecco, in questo complesso, in questa oppressione di questi sensi di inferiorità e di colpa, una rivelazione: mi hanno chiamato per fare l’animatore. Cioè: qualcuno ha stima di me, ha stima di me, mi ha chiamato e mi dà fiducia. In mezzo a tutti questi complessi che ci portano a sottovalutarci, una parola di stima dice: “vieni! Tu sei capace!”, “vieni! Abbiamo bisogno di te!”, “vieni” ti affidiamo i ragazzi della tua squadra!”. 

E, in mezzo alla precarietà, una rivelazione. La precarietà dice: “ma oggi sono pieno di entusiasmo, che bello vivere!”, il giorno dopo dice: “che schifo la vita! Ma io non ho voglia di fare niente!”, “oggi sono pieno di amore vorrei abbracciare tutto il mondo!”, e il giorno dopo dico: “ma come sono antipatici tutti, ma io non li sopporto! Ma io non posso più avere un rapporto senza litigare con mio fratello, con mia mamma o con il mio compagno di scuola”. 

In mezzo a questa precarietà, una rivelazione: l’impegno che ti prendi, dura; perché sai che c’è qualcuno che si aspetta da te un servizio, una presenza, un sorriso.

 

Ecco, questo samaritano – che non sappiamo da dove veniva e dove andasse, di cui non sappiamo niente – secondo me era come un adolescente che passava nella strada della vita ed era confuso, non sapeva bene cosa stesse succedendo; ha visto un poveraccio e se ne è preso cura. Ha scoperto di essere capace di amare. Questo samaritano era uno che, siccome era un samaritano, si sentiva sempre giudicato. Gli altri lo guardavano con un pregiudizio, lo disprezzavano: “ecco lì un samaritano”. Ma questo samaritano ha visto un uomo ferito se ne è preso cura. L’ha portato fino a un ricovero, si è preso cura di lui e ha sentito il bisogno dell’altro come una vocazione: “questo tale si fida di me, accetta le mie cure”. 

 

E questo samaritano era uno che andava in giro, chissà a far che cosa. Una volta era onesto, un’altra volta rubava, una volta voleva rispettare la legge di dio, un’altra volta bestemmiava Dio, ma poi ha visto un uomo abbandonato al ciglio della strada e se n’è preso cura, e ha capito che prendersi cura degli altri non è il capriccio di un giorno, non è uno slancio di generosità, ma un impegno che deve attraversare il tempo, che deve diventare vocazione.

Gesù ha raccontato oggi questa parabola per noi, per dirci che, nella confusione, se noi ci dedichiamo a prenderci cura degli altri, comprendiamo di essere capaci di amare, cioè di essere fatti ad immagine di Dio.

E se, in mezzo a tutti i complessi che ci opprimono, Gesù dice: “io ti chiamo con la voce di un poveraccio che ha bisogno di te” noi scopriamo che siamo autorizzati ad avere stima di noi stessi, perché Gesù mi chiama per nome.

 

E, in mezzo alla precarietà di un mondo che cambia sempre, noi ci rendiamo conto che la dedicazione a prenderci cura degli altri non ci può impegnare finché abbiamo voglia, ma finché gli altri si aspettano qualcosa da me; lì, sulla strada, c’è Gesù che un giorno ti dirà: “avevo fame e m’hai dato da mangiare, ero malato e sei venuto a trovarmi, avevo bisogno di un conforto e mi hai confortato”. 

 

Questo io vi auguro per la vostra estate: che voi, attraverso il servizio che rendete, abbiate queste tre rivelazioni: 

primo: sei capace di amare

secondo: sei autorizzato, autorizzata, ad avere stima di te

terzo: la dedizione non è il capriccio di un giorno, ma la vocazione di una vita.