Aspettando l’oratorio estivo… come e con Don Bosco!

-Don Stefano Guidi, direttore FOM-

 

Torna l’Oratorio estivo.

E che Dio lo benedica. Tutte le volte è come buttarsi in mare senza saper nuotare. È sempre uguale. ed è sempre diverso e nuovo. Sappiamo a memoria come si fa. Ed ogni volta ci scopriamo dilettanti che hanno bisogno di imparare tutto da capo. Realtà straordinaria l’oratorio: che quando funziona ci spiazza e ci disorienta.
Realtà prodigiosa poter stare -oggi – accanto a dei ragazzi e a degli adolescenti che con la loro alterità ci destabilizzano. L’oratorio appartiene a chi si lascia sorprendere e destabilizzare.
L’oratorio appartiene ai cuori inquieti.

 

Cura.

E’ la parola chiave. Che apre e che chiude. Apre al senso. Chiude per custodire nelle fibre profonde della memoria l’amore ricevuto e donato, i sorrisi, il tempo, la fatica, l’entusiasmo.
Apre al senso e non chiude in pareggio. L’ultimo giorno dell’oratorio è dedicato alla celebrazione della sproporzione tra il donato e il ricevuto, tra le aspettative e lo sperimentato, tra l’entusiasmo che ti lancia e il limite che ti fa chiedere aiuto. L’oratorio appartiene ai cultori della sproporzione e del debito.

 

Don Bosco ci accompagnerà in questa esperienza.

Per favore: non riduciamo la storia di questo gigante a dei fioretti per bambini.
Si, lo racconteremo ai ragazzi, va bene, ma sono soprattutto i grandi dell’oratorio che devono confrontarsi e lasciarsi ispirare da questo santo educatore straordinario.
Dal suo cuore profondamente inquieto: don Bosco ha fatto quello che ha fatto perché si e lasciato ferire dalle ferite dei giovani. Ha visto nella sofferenza che stavano vivendo una grande ingiustizia perpetrata a loro danno. Il suo amore verso i giovani non é mai declassato a opzionale beneficienza. Ma è invece fondato e spinto dalla determinazione di restituire dignità umana a coloro che ne erano stati privati.
Per questo non si è mai sentito superiore ai suoi giovani ma in debito di amore verso di loro.

Ci ispira la sua straordinaria e originale capacità educativa. Proverbiale la sua capacità di trovare in ogni giovane un accesso al bene. Se non uno porta spalancata, una fessura, una crepa, uno spiraglio. E non si rassegna e non si scoraggia finché non lo trova. Dovesse costare lacrime e sangue. È sufficiente, anche se sembra insignificante, perché passi una scintilla di amore.
Questo sguardo sui ragazzi è ciò che rende autentica la nostra relazione con essi.

Ci affascinano i suoi sogni. I sogni sono la cosa più reale che esista. Se li accogliamo e li seguiamo hanno la forza di orientare la nostra vita.
La fede semplice e autentica di Giovannino Bosco ha nutrito i suoi sogni. E i suoi sogni hanno nutrito la sua fede: nel sogno ha pensato i suoi ragazzi e li ha visti come figli, tutti.

Così – mi piace pensare – ha costretto la Chiesa a guardare verso i giovani, ad ascoltarli, a prendersi cura di loro e a imparare da loro. La Chiesa del suo tempo che si ritrovava spesso a curare bene l’ovile.
La Chiesa di tutti i tempi – forse – che si scopre esitante sulla soglia.

I codici dell’agiografia classica individuano don Bosco tra i santi sociali del cattolicesimo popolare. Uno definizione che mi sta stretta.
Esiste una santità che sia anti-sociale o poco sociale?
Esiste un santo che non provenga dal popolo, cioè dall’umanità del suo tempo, così come si esprime in ogni tempo?

Per me è sufficiente dire che è un santo. Un uomo che ha profondamente amato oltre ogni misura, merito, convenienza, ragione.
Chiediamo a don Bosco che un po’ del suo spirito passi ai nostri oratori. Qb.

 

Fonte: il gazzettino della FOM, aprile 2023