La “paura della scuola” che rende soli

-Beatrice D’Ascenzi-

 

Timore, depressione e un senso di inadeguatezza paralizzante, che spinge a ritirarsi dalla vita di tutti i giorni.
È quello che succede a sempre più giovani vittime della “fobia scolare”, un disturbo in cui il livello di ansia e paura nell’andare a scuola sono tali da compromettere in modo significativo la regolare frequenza scolastica. Un fenomeno che isola chi ne è colpito, rendendolo ossessionato del successo negli studi e dall’approvazione dei propri pari.
Ne parla Mara Bruno, responsabile dell’Area età evolutiva dell’Itci (Istituto di terapia cognitivo interpersonale) di Roma: “I ragazzi mettono in atto in una vera e propria rinuncia sociale che in questo momento è facilitata dagli gli strumenti tecnologici, che danno loro la possibilità di vivere la loro quotidianità a casa”.

 

Quando non voler andare a scuola non è solo un capriccio

La “fobia scolare” esordisce solitamente con maggior frequenza in concomitanza con i passaggi di ciclo scolastico e si relaziona ai timori connessi all’addentrarsi in un nuovo ambiente, come possono essere i nuovi compagni ed insegnanti e le crescenti richieste scolastiche. “La dinamica della fobia scolare diventa così importante perché intercetta quelle che sono le caratteristiche di questa società post pandemica dove viene data attenzione alla competitività”, spiega la dottoressa Bruno.
Infatti, se ne i più piccoli questa fobia rappresenta una manifestazione del Disturbo d’ansia di separazione, negli adolescenti è più spesso legata alla preoccupazione relativa alla prestazione scolastica e si caratterizza per un’elevata paura di sbagliare, di ricevere voti negativi, di deludere le aspettative dei genitori e di fare una brutta figura davanti ai compagni. Un aspetto che la responsabile dell’Itci sottolinea:
“Gli adolescenti, sono spaventati da questi parametri di accettazione sociale. Alla base di questo sentire c’è una sensazione di vergogna che temono e quindi anticipano questa paura non andando a scuola”.

 

Il ruolo della pandemia

“La pandemia ha aumentato in maniera esponenziale i casi di fobia scolare”, afferma Mara Bruno, “il nostro servizio, ad esempio, si è interfacciato con ragazzi che a causa del Covid, si sono ritrovati a frequentare la 5.ª elementare e poi di colpo la fine del ciclo delle scuole medie. Questo ha reso le loro competenze sociali molto immature.” Uno sconvolgimento che, in un periodo della vita così delicato, ha alterato sia l’apprendimento didattico che relazionale di questi giovani, facendoli sentire incapaci di studiare e creando in loro la paura di fallire.  “In tutto questo – prosegue l’esperta – il disorientamento pandemico ha coinvolto anche la parte genitoriale. Intere famiglie sono rimaste in casa, dovendo riformulare le proprie dinamiche in maniera completamente differente.”

 

La risposta degli educatori

“La scuola oggi è di fronte a un compito molto complesso perché deve preparare i ragazzi a vivere in una società che non sa esattamente come si sta evolvendo”, continua la dottoressa.
“Questa generazione si orienta sempre di più verso un’immagine ideale che ha necessità di essere confermata attraverso risultati visibili agli altri”. In questo quadro complesso, l’empatia sembra essere la chiave di volta per aiutare i giovani in difficoltà: “Puntare l’attenzione sui programmi didattici non porta da nessuna parte”, conclude Bruno, “i ragazzi hanno bisogno che ci si sintonizzi emotivamente, affettivamente con loro prima ancora che con il loro rendimento”.

 

Fonte: vaticannews