– Lidia Tregnago –
Il pozzo
“Qui c’era un pozzo di Giacobbe”. Giunge una donna.
È mezzogiorno. “Venne nell’ora più lenta del giorno”. Sole a picco, non si muove una foglia. Luce bianca, accecante. Frinire di cicale.
Gesù siede all’ombra, una esigua lingua d’ombra nella calura, presso il pozzo. Le pietre arse dal sole.
Sembra un tempo di passaggio, una pausa che si spera duri poco. Che tornino i discepoli con il ristoro, che si possa andare a rinfrescarsi e riposarsi.
Invece succede proprio che Gesù l’abbia scelta e voluta, quella sosta nel “deserto”. Perché lì c’era il pozzo di Giacobbe. Lì, giunge la donna samaritana.
È lei il pozzo. Un pozzo profondo, per le sue domande, per la sua sete, per la sua ricchezza. Invisibili allo sguardo superficiale e stanco, come invisibile è l’acqua che c’è in fondo al pozzo.
Come al solito, presi dalla fretta di cercare cibo (e quante volte sono stati ripresi da Gesù per questa loro preoccupazione ossessiva), i discepoli sono corsi al villaggio e non hanno pensato di fare prima provvista d’acqua.
La sete
Così a Gesù viene sete. Come succederà poi sulla croce. Quanta urgenza ha la sete.
Quando Gesù ha sete, più che in ogni altro momento manifesta il suo bisogno dell’uomo. Gesù ha bisogno di noi. Non chiede mai nulla ma, quando ha sete, chiede di noi. E chiede che peschiamo acqua per Lui sul fondo del nostro pozzo interiore.
Anche la donna samaritana ha sete. E’ una donna senza pace, che cerca di adattarsi alle cose quotidiane del mondo ma non le viene granché bene.
Va al pozzo nell’ora in cui non va nessuno per cercare di passare inosservata, e invece incontra Gesù.
E lui intesse un dialogo con lei che parte quasi come un flirt. Sì, come un gioco di seduzione.
Credo che fosse quello il linguaggio a cui la donna era abituata da una vita. Era quello che conosceva meglio.
E Gesù la va a prendere dove si trova, e si mostra maestro di seduzione: “dammi da bere”. La donna abbocca, si schermisce. E da lì, con verità e dolcezza, con il sorriso sulle labbra e la serietà delle parole, Gesù la invita a incontrarlo.
In Spirito e Verità.
La donna sceglie di rivelarsi perché ha incontrato qualcuno di speciale, quel Qualcuno che cercava da tutta una vita e che forse aveva smesso di sperare esistesse (“e quello che hai ora non è tuo marito”).
E piano piano rivela, a se stessa e a Gesù, chi sia l’uomo che ha incontrato, un passo alla volta: “più grande di Giacobbe”, “un profeta”, “il Messia chiamato Cristo…?”
“SONO IO, CHE PARLO CON TE”. Non c’è frase al mondo che contenga più amore, che raccolga di più i nostri frammenti, che ci faccia sentire più interi, voluti, conosciuti e amati.
“Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. Ha visto in ogni mia ombra ogni mia luce. Ha reso oro le mie sofferenze, ha visto la mia acqua viva e me ne ha indicato la sorgente. Ha fatto si che io la vedessi e che non possa mai più dimenticarmene.
E… se ne è nutrito. “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”.
Gesù, che è Dio, mangia l’incontro con noi. Si disseta e si sazia nell’incontro con la donna che vive alle periferie del mondo. Là dove c’è il pozzo di Giacobbe.
Perché solo lì avrebbe potuto incontrarla e parlar con lei. Allora Lui ci si è recato. Apposta.
Perché voleva Lei. Perché Lui la conosceva davvero e sapeva che ne valeva veramente la pena.
Perché presso il pozzo di Giacobbe, verso mezzogiorno, sarebbe comparsa quella perla rara, quella fonte di acqua viva. Che aveva solo bisogno di scambiare alcune parole con Lui per biondeggiare come un campo di grano.
Tutto questo i discepoli non lo vedono ancora. Lo vedranno nell’incontro con Gesù Risorto. Per ora viaggiano con le loro pagnotte…
La brocca lasciata
Ma la donna non ha più tempo da perdere, molla la brocca che la rallenta e corre, corre al villaggio.
Le donne nei Vangeli sanno sempre quando correre e quando fermarsi in contemplazione.
Lei diventa subito missionaria. Non sta nemmeno un secondo a crogiolarsi nel tesoro che ha trovato, ma vuol condividerlo, ed è così generosa che invita gli altri ad andare e vedere con i loro occhi, non sta lì troppo a “contar su” del suo incontro. Vuole che anche gli altri ricevano il dono dell’acqua viva.
Non afferma nemmeno niente su Gesù, pone una domanda: “Che sia lui il Messia?”.
Perché ognuno deve rispondere da sé. “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo”.
Missione compiuta.
Noi, samaritane
…siamo noi la samaritana. Siamo noi che Gesù viene a cercare alle periferie del mondo, alle periferie del dolore, della fatica, della noia.
Proprio nell’ora più lenta del giorno e con richieste che paiono un po’ strane, ma che fanno zampillare Vita dentro di noi se ascoltiamo bene.
E mentre i discepoli si affaccendano a trovar da mangiare, sempre scordandosi che viaggiano con un Maestro che moltiplica pani e pesci, noi possiamo incontrare Gesù se “camminiamo adagio adagio verso una fontana” (Il Piccolo Principe, Antoine De Saint-Exupéry). Come pensava che avrebbe fatto il Piccolo Principe, se avesse avuto i 53 minuti in più al giorno che prometteva il mercante di pillole per calmare la sete.
La sete non va spenta, la sete forse va alimentata e riempita con ciò che fa zampillare in noi vita, senza saziarci mai.
La sete di ognuno
In un libro di Amelie Nothomb, intitolato proprio “Sete”, l’autrice fa dire a Gesù queste parole “in verità vi dico: ciò che sentite quando state morendo di sete, coltivatelo. Lo slancio mistico non è che questo. E non è una metafora. La fine della fame si chiama sazietà. La fine della stanchezza si chiama riposo. La fine della sofferenza si chiama conforto. La fine della sete non ha nome.”
Vincent Van Gogh scriveva: “Hai nell’anima un grande fuoco e nessuno viene mai a scaldarsi, i passanti vedono solo un po’ di fumo in cima al comignolo e poi se ne vanno per la loro strada. Ora, ecco, che fare? Mantenere vivo quel fuoco interiore, avere sale in noi stessi, attendere pazientemente – eppure con quanta impazienza – attendere l’ora, dico, in cui qualcuno voglia venire a sedersi accanto, fermarsi lì, che so. Chiunque crede in Dio, attenda l’ora, che presto o tardi giungerà.” (Lettere a Theo, Vincent Van Gogh)
E per finire, Etty Hillesum, la meravigliosa scrittrice ebrea, rinchiusa e morta ad Auschwitz, scriveva nei suoi diari: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla. Più spesso essa è coperta da pietre e sabbia. Allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.” (Diari, Etty Hillesum)
Non dimentichiamoci mai della sorgente che è dentro di noi, della Sorgente che siamo noi, a cui Dio viene a dissetarsi.