Preghiera: l’alimento del cristiano

– Suor Chiara –

 

In queste righe che seguono proverò non tanto a spiegarvi che cos’è la preghiera o come si prega, piuttosto a confidarvi la mia esperienza, condividere con voi come mi nutre la preghiera.
Allora, vi confesso subito che mi sento molto insufficiente, ma di cuore provo a raccontare qualcosa.
Tutt’oggi mi scopro spessissimo a pregare dicendo: “Gesù, insegnami a pregare” e dall’altra parte non saprei raccontare la mia relazione con Dio, se non definendola preghiera.

Da bambina ricordo che in maniera molto spontanea interloquivo con Gesù e con Maria. Non percepivo uno scollamento tra le preghiere da recitare la sera prima di dormire e il dialogo personale con Gesù lungo le giornate. Ricordo che intorno ai 7 anni, per un mal di pancia che mi tormentava da giorni, avevo detto a Gesù: “Se me lo fai passare prometto che ti crederò di più”. Questo mi racconta non tanto di come io tentassi di ricattare Gesù (furba!!!), piuttosto, però, mi dice di una confidenza con Gesù a tal punto da osare chiedergli qualsiasi cosa. 

 

SOLO DIO AMA “DA DIO”, SOLO IL SUO AMORE SAZIA

Penso che la preghiera sia questa cosa qui: una confidenza tale con Dio, da non poter fare a meno di coinvolgerlo in ogni cosa della nostra vita, per poi scoprire che è Lui a coinvolgerci in ogni cosa. La preghiera è, in fin dei conti, la totalità della relazione con Dio, e noi -in quanto esseri umani- siamo relazione! Ecco perché la preghiera è alimento: senza questa relazione fondante moriamo, perché cerchiamo la totalità dell’amore nelle relazioni attorno a noi (che non possono né devono darci questa totalità).

Nella mia storia mi sono proprio “schiantata” con questa verità: ad un certo punto, mi sono resa conto che non sapevo amare. Mi sono resa conto che, in realtà, ogni mio slancio di generosità verso l’altro, altro non erano che richieste disperate di amore. Ero affamata di amore, e lo cercavo laddove non poteva e non doveva essermi dato (cfr. Samaritana Gv 4, 1-42). 

Nelle relazioni di coppia così come di amicizia, a volte andiamo in crisi perché confondiamo i piani: chiediamo all’altro di amarci in maniera totalizzante (cfr. “Sei il mio tutto!”), brutalmente detto, desideriamo occupare un posto privilegiato nel cuore dell’altro, anzi, il primo posto. E invece solo Dio può amarci così… ma non sempre ci crediamo, anzi non sempre ci fidiamo e affidiamo a questo amore e finiamo per confondere le mediazioni dell’amore con l’amore in sé. Ecco, da questo cortocircuito mi ha salvata la preghiera, la relazione con Dio, nello specifico con la persona di Gesù. È stata la rivoluzione copernicana della mia fede. Finalmente ho (ri)scoperto la dimensione della gratuità della preghiera e della relazione con Dio. 

Mi spiego. Un giorno incontrai una suora di clausura che mi disse: “Tu vivi la relazione con Dio come si vive una relazione con una prostituta!” (Che botta!). Aveva ragione! Io andavo a Dio per chiedergli delle cose, promettendogliene in cambio delle altre. Invece, in quel periodo della mia vita mi sono scoperta incapace di amare, e quindi, in fin dei conti, proprio povera e misera, non avevo nulla da dare… e anche poco da sperare! Così potevo solo stare davanti a Dio come una mendicante, disposta ad accogliere tutto quello che la Sua bontà avrebbe voluto darmi. 

Da questa presa di coscienza della mia miseria, è sbocciata la libertà. Finalmente scoprivo di essere amata e basta. Non dovevo fare nulla per aumentare il mio valore, né preoccuparmi che i miei limiti avrebbero diminuito il mio valore. Gesù in croce era il mio valore. E nessuno mi avrebbe mai potuto amare come Lui. Scoprivo che la preghiera è semplicemente lasciarsi amare da Dio.

Allora, nella preghiera, le parole hanno lasciato il posto al silenzio, i “grazie” hanno preceduto le richieste, il cuore ha iniziato a “perdere tempo” nella lode… e questo non solo stando in ginocchio in cappella, ma anche passeggiando per il cortile dell’oratorio, cucinando per le mie consorelle, guardando crescere un adolescente, ascoltando una lezione in università, leggendo un libro… 

 

A COSA SERVE PREGARE?

C’è una domanda che mi sento rivolgere spesso, soprattutto dai ragazzi… ma solo perché hanno più coraggio nell’esprimere i loro dubbi, non che anche nel nostro cuore non ce ne siano! E la domanda è: ma a cosa serve pregare? Ad oggi, mi sono data due risposte

La prima è che siamo proprio figli del nostro tempo: se una cosa non ha un utile, proprio non ci piace!!! Eppure, a pensarci bene, a che cosa servono tutte le cose belle della nostra vita, come la musica, l’arte, la letteratura? Sono robe non necessarie alla sopravvivenza, no? È vero. Non “servono” a niente, ma ci danno la bellezza. È ciò che ci fa passare dal sopravvivere al vivere. E allo stesso modo la preghiera. In termini utilitaristici possiamo tranquillamente dire che la preghiera non “serve” a niente (è una provocazione!), pregare è bello! Pregare è uno spreco, ma uno spreco di quello che piacciono a Gesù (cfr. peccatrice a casa di Simone Lc 7, 36-50 o Maria di Betania che versano il nardo su Gesù Gv 12, 1-11). È lo spreco dell’amore. È quello stare insieme alla persona amata, anche solo in silenzio, che cambia i cuori degli amanti, li rassicura, li fa sentire a casa, e permette loro di tornare alle ordinarie occupazioni con la pace che viene dal sapersi amati.

 

E la seconda risposta che mi sono data è che, se proprio-proprio non riusciamo a staccarci dalla logica utilitaristica, allora la preghiera serve eccome! 

Quante volte abbiamo chiesto una cosa a Dio e non l’abbiamo ottenuta? E lì la domanda sorge spontanea: “A cosa serve pregare se poi non mi aiuti, Signore?! A cosa serve pregare se poi la realtà non cambia?”. Per quello che ho capito finora dalla vita – fatta eccezione della celebrazione dell’Eucarestia, certo, in cui il pane diventa realmente corpo di Gesù, attraverso la preghiera – la preghiera non cambia la realtà, la preghiera cambia me che prego. È a me che la preghiera dona occhi nuovi per guardare le circostanze della mia vita. 

La preghiera non offre “miracolini low-cost”, offre occasioni per provare a vivere di più il Vangelo. La preghiera è quel luogo dove coltivo l’infinita pazienza di ricominciare, anche dopo l’ennesimo fallimento, l’ennesimo dolore. 

Ma questa, vedete, è una questione seria, non si può liquidare in poche righe. Il grido del mondo è forte! E spesso noi siamo impotenti! Pregare ci ricorda che le sorti della storia sono in mano a Dio, e che Dio ha già vinto il mondo, che per quanto ci preoccupiamo, non possiamo allungare di un solo giorno la nostra vita. Pregare ci rimette nell’unica nostra posizione che ci spetta: quella di figli, che tutto abbisognano dal Padre.

 

COME SI FA A PREGARE?

Un’altra domanda che mi accompagna tutt’oggi e che spesso mi fanno i ragazzi che Dio mi dona è: “Ma come si fa a pregare?”, se anche voi ve la siete posta, vi rendo noto che siamo in buona compagnia! È la stessa domanda che i discepoli fecero a Gesù: “Maestro, insegnaci a pregare” (cfr. Lc 11,1-4). 

La prima cosa che vi confido, me l’ha insegnata Sant’Agostino: “Il desiderio è già preghiera”. Desideri pregare? Desideri entrare in relazione con Dio? Bene, sappi che questo tuo desiderio ha già fatto breccia nel cuore di Dio… ed è già preghiera!

Perché dico questo: perché, anche qui, il rischio che corro quando mi faccio questa domanda è quello di pensare che la preghiera sia solo quella “canonica” davanti al tabernacolo con formule prestabilite. E invece pensiamo a quanti testimoni abbiamo nella Bibbia che ci dicono che la preghiera è tutto ciò che siamo, messo alla luce di Dio: penso a Giacobbe che lotta tutta la notte con un angelo (cfr. Gen 32,24-34), fa letteralmente a botte con Dio! E, a volte la nostra preghiera è anche questa lotta profonda, che ha tutta la dignità di essere preghiera. Oppure a Giobbe, a tutta la sua sofferenza, a quella preghiera che stenta l’imprecazione! Tutto di noi è degno di entrare nella nostra preghiera, perché anche Gesù ha fatto suoi tutti i nostri sentimenti (cfr. Fil 2, 5-11).

A questo proposito, condivido uno scritto che da tanti anni accompagna la mia preghiera, è di una poetessa e mistica francese, morta alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, Marie Noël (1883-1967):

 

Sono qui, mio Dio. Mi cercavi? Cosa volevi da me? Non ho niente da darti. Dal nostro ultimo incontro, non ho messo niente da parte per te. Niente… nemmeno una buona azione. Ero troppo stanca. Niente, nemmeno una buona parola. Ero troppo triste. Niente, se non il disgusto di vivere, la noia, la sterilità”.
“Dammeli”.
“La fretta, ogni giorno, di veder finita la giornata, senza servire a niente, il desiderio di riposo lontano dal dovere e dalle opere, il distacco dal bene da fare, il disgusto di Te, o mio Dio!”.
“Dammeli”.
“Il torpore dell’anima, i rimorsi della mia fiacchezza e la fiacchezza più forte dei rimorsi…”.
“Dammeli!”.
“Turbamenti, spaventi, dubbi…”.
“Dammeli”.
“Signore, ma allora Tu, come uno straccivendolo, raccogli i rifiuti, le immondizie. Che ne vuoi fare Signore?”.
“Il Regno dei cieli”.

 

Questa è la preghiera! O mettiamo davanti a Dio tutto di noi, anche quello che più disprezziamo, o non stiamo dando niente a Dio, stiamo dando ancora gli avanzi! Personalmente, è quello che vi raccontavo all’inizio: quando ho avuto il coraggio di consegnare a Dio tutto di me, anche quella parte che volevo nascondere -a me stessa prima che a Dio-, lì è iniziata l’avventura della fede, ma sul serio!

Entriamo nella preghiera così, sapendo che Gesù desidera tutto il nostro cuore. Ma mi rendo conto che qui bisognerebbe scardinare tutte le false immagini che abbiamo di Dio (ma questo lo lascio ad un’altra riflessione…).

In ogni caso, è Gesù stesso che nel Vangelo ci insegna a pregare, ed è bellissimo come avviene; pensate: i discepoli vedono Gesù pregare e vien voglia anche a loro di pregare così! Qui pecco un po’ di invidia, lo confesso: anche io avrei voluto vedere Gesù pregare!

E Gesù insegna il Padre nostro, ma dà anche un criterio fondamentale che è: “Quando pregate non sprecate parole…” (Mt 6, 5-8). Non sprecare parole. Dio conosce già il nostro cuore, più di quanto lo conosciamo noi stessi. Viviamo in un mondo che abusa di parole? Bene! Riduciamole! Facciamo silenzio, usiamo solo le parole che occorrono. 

Quanto è vero! A volte basta solo anche il nome di Gesù per smuovere il Paradiso intero

A volte basta solo stare lì davanti al tabernacolo, come essere davanti al sole: il sole ti abbronza indipendentemente dal tuo sforzo. A volte basta stare in silenzio, l’eloquente silenzio di un abbraccio. 

E nel Padre nostro c’è già tutto. Adesso mi faccio aiutare da qualche santo e vi dico qualcosina a riguardo.

Una volta mi raccontarono un fioretto di San Francesco (anche se alcuni lo attribuiscono ad altri santi…io ve lo racconto così come me lo hanno trasmesso!) che narra di quando lui volle fare una gara con Frate Leone, e gli propose di stare svegli tutta la notte per vedere chi dei due avesse detto più volte la preghiera del Padre nostro. Così si separarono in preghiera, e il mattino dopo di riunirono e Leone, molto contento disse: “Francesco, io ho detto 72 Padre nostro, e tu?” e Francesco rispose: “Frate Leone, io mi sono fermato alla parola “Padre”. 

Un’altra santa che mi è particolarmente cara è Santa Teresa d’Ávila, la quale nel suo libro “Cammino di perfezione”, scrive un commento dolcissimo al Padre Nostro. È un continuo stupore per la bontà di Dio che si lascia chiamare Padre; ricorda alle sue sorelle che i cieli di Dio siamo noi, che Dio sceglie la nostra anima come suo cielo, come sua dimora, ed è dentro di noi quindi che dobbiamo cercare e possiamo trovare Dio. Non mi dilungo, ma è bellissimo.

Tutto questo per dire che in questa preghiera c’è davvero tutto quello di cui abbiamo bisogno. 

Gesù nel Vangelo dà anche un altro consiglio: “Se avrete fede e non dubiterete… tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” (cfr. Mt 21, 18-24). Prima di lamentarci che le nostre preghiere non sono state esaudite, direi che dovremmo chiederci: “Ho chiesto qualcosa di buono? Ho chiesto con fede? Riesco a non dubitare?”. 

Quindi: non sprecare parole, non dubitare, avere fede. E se non sappiamo cosa dire, il tesoro della Chiesa ci consegna dei testi meravigliosi per dare voce a ciò che di più profondo abita nel nostro cuore. 

 

PREGARE CON LE PAROLE PENSATE DA ALTRI

A questo proposito, non so se a voi sia mai capitato, ma parecchie volte mi sono trovata davanti all’obiezione: “Ma perché devo pregare con parole scritte o dette da altri che a me non dicono niente?”. È una domanda che mi fanno spesso i giovani in oratorio quando proponiamo loro di pregare Lodi o Compieta, o una qualsiasi altra preghiera della Chiesa.

Ebbene, per tantissimi motivi. 

Pregare con parole dette da altri non ci fa sentire soli, anche quando fisicamente siamo soli a pregare.

Pregare i salmi è mettere sulla nostra bocca le parole con cui Gesù stesso ha pregato per tutta la sua vita. Pregare i salmi e sapere che tutta la Chiesa quel giorno pregherà con le stesse parole, dilata il cuore, aiuta ad offrire quella preghiera per qualsiasi fratello che nel suo cuore sta vivendo i sentimenti descritti dai salmi, anche se non rispecchiano i miei in quel momento. 

Pregare con le parole che ci suggerisce la Chiesa svela noi a noi stessi, chiama per nome ciò che ci abita, e che noi altrimenti non conosceremmo.

 

PREGARE NON BASTA. BISOGNA PREGARE INSIEME.

Ma tutto questo ancora non basta. C’è una cosa che ci manca. Ed è: pregare insieme! 

Questo posso proprio dirlo: pregare con amici, anzi, con fratelli e sorelle, è stato ciò che mi ha salvata e guarita in questi anni. È l’esperienza, fisica, di sentirsi sorretti. È la possibilità di sperimentare una comunione così forte, capace di andare oltreoceano (penso al legame forte che ho con alcune consorelle sparse in tutto il mondo, ma non solo)! È l’esperienza che in Dio due anime possono essere più unite e intime che due corpi. Spero di non scandalizzare nessuno, ma è così. Pregare accanto ad amici (fratelli e sorelle) è stata per me la possibilità di riconoscere l’evidenza di Dio presente. 

Pregare con chi ho accanto è per me costruire la casa sulla roccia della fraternità. Nella preghiera i legami diventano indissolubili. E non importa dove la vita ci conduce: abbiamo pregato insieme, siamo andati tutti alla stessa fonte, allo stesso cuore per ricaricarci. 

Pregare è bello. Pregare con chi amiamo lo è ancora di più.

 

PREGHIERA È ESERCIZIO DI REALTÀ 

Pregare non è “mettere Dio in ogni cosa”, perché visto che sono cristiana allora devo mettere il Signore un po’ come il prezzemolo, dappertutto. No! Al contrario, è scoprire che Dio è già presente nella realtà, in ogni cosa, in ogni circostanza, in ogni uomo… a noi spetta “solo” riconoscerlo!

Ecco perché un buon termometro della mia preghiera è chiedermi: “Ma oggi, la mia preghiera è rimasta chiusa nelle quattro mura delle mie questioni, o è sconfinata verso quello che il mondo vive?”. La preghiera ci allena a leggere la realtà con i criteri del Vangelo, a contemplare la realtà con lo sguardo di Maria, ad affrontare la realtà nutriti dell’Eucarestia, ad amare i fratelli che la realtà ci mette accanto.

 

QUATTRO PERLE CHE ALCUNI MAESTRI MI HANNO DONATO PER PREGARE

Perché fuggiamo la preghiera? – Se la preghiera è questa meraviglia, perché a volte facciamo così fatica a viverla? Perché troviamo mille occupazioni pur di non fermarci un pochino a pregare? Un grande teologo nel secolo scorso, Karl Rahner, gesuita tedesco, ha scritto alcune pagine commoventi sulla preghiera, dicendo così: 

Abbi pietà, mio Dio. Se io fuggo la preghiera, non è te che io voglio fuggire, ma solo me e la mia superficialità. Non voglio sottrarmi alla tua santità infinita, ma alla desolazione di questo vuoto della mia anima dov’io devo vagare quando fuggo il mondo senza riuscire a penetrare nel vero santuario della mia intimità dove solo potrei trovare e adorare te” (Rahner, K., Tu sei il silenzio). 

Noi in realtà non scappiamo da Dio, ma da noi stessi. Se solo sapessimo che Dio ci attende proprio laddove noi non osiamo entrare («Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10)! Scappiamo dalla preghiera perché non ci ricordiamo che Dio non vuole nulla da noi, vuole semplicemente noi.

 

Per pregare bisogna aver incontrato Dio? – a volte sentiamo Dio così distante che evitiamo anche solo di provarci. Un confessore, anni fa, quando ero novizia, mi rassicurò dicendo: Ci sono due motivi per cui preghiamo: o perché abbiamo incontrato Dio, o perché desideriamo incontrarlo. Ecco, tutti ma proprio tutti abbiamo accesso alla preghiera, sempre e comunque. 

 

Senza sì, non c’è preghiera – ho capito che non si possono mettere condizioni a Dio, così come non si possono mettere condizioni a chi si ama. O si dà tutto o non si dà nulla. Non si può amare a metà. Il card. Scola, diceva che non ha senso dire “Ti amerò per sempre”, perché o l’amore è per sempre o non è amore. Non posso dire “ti amerò per un po’”, se è a tempo non è amore… perché o si ama o non si ama! E con Dio è la stessa cosa. Non possiamo metterci in preghiera mettendo davanti tutti i nostri “ma” e “se”. E se li abbiamo, dobbiamo chiedere a Dio di aiutarci ad abbatterli. 

Dobbiamo fare come Maria. Non aveva capito tutto. Anzi, non aveva capito molto! Però ha detto sì. Perché dare il suo assenso a Dio la metteva più al sicuro di tutte le sue comprensioni. 

Non dobbiamo per forza capire immediatamente tutto quello che Dio sta preparando. Noi dobbiamo occuparci di dire sì, e di allenarci a capire che siamo più al sicuro dicendo sì a Dio che cercando di autoproteggerci (ché poi finiamo sempre per auto-sabotarci). Senza questo sì incondizionato, sarà difficile pregare. Perché sarebbe come dire: “Signore ho bisogno di te per questo e quest’altro… ma non è che mi fidi poi così tanto di te”. Maria è madre e maestra. Chiediamo a lei che ci insegni a dire questo sì. Frequentare Maria nella preghiera, significa imparare a dire sì. Senza sì, non c’è preghiera.

 

Farsi amici dei santi – avete amici in Paradiso? Spero di sì! Farci amici dei santi è un’autostrada meravigliosa per imparare a pregare. Loro sono maestri. Nelle loro vite, nella loro intercessione, trovo conforto, risposte, nuove domande, incoraggiamento. Ogni santo ha relazione personalissima con Dio, per questo ha una miriade di cose da insegnarci sulla preghiera. Io sono debitrice a tantissimi santi. E l’amicizia con loro è reale. La loro intercessione non è una raccomandazione, una scorciatoia, piuttosto è una compagnia, il dono di “fratelli e sorelle maggiori”, che camminano davanti a noi, falciando le erbacce per tracciare il sentiero. Quando anche Dio mi sembra lontano e fatico a pregarlo, mi affido ai santi e alle loro storie, e mai mi hanno delusa. 

 

PREGARE NON BASTA. TUTTO DI NOI DEVE ESSERE PREGHIERA 

Arrivata a questo punto, mi vengono a mente e nel cuore molte cose in più che si potrebbero dire. Ma mi fermo qui, e concludo con una domanda che spero possa essere un augurio.

Spesse volte le nostre vite frenetiche sono un buon pretesto per mentire a noi stessi e dire che non abbiamo abbastanza tempo per pregare. 

Il fatto è che è tutta una questione di unione con Dio in ogni cosa che facciamo, e non solo di minuti ritagliati alle attività ordinarie da dedicare alla preghiera, come gli avanzi del cibo dati al cane.

Non si danno a Dio gli avanzi! A Dio si dà il meglio di noi. E il meglio di noi è la nostra vita intera.

Sono salesiana, mi perdonerete se cito don Bosco. Durante il suo processo di canonizzazione, l’avvocato del diavolo sosteneva che don Bosco non avesse tempo per pregare, perché faceva troppe cose. Al che, intervenne Papa Pio XI, sostenendo che la domanda da porsi fosse un’altra, data la vita di questo prete, interamente consumata per il bene dei giovani. Allora Pio XI chiese: “Sapreste dirmi, piuttosto, quando don Bosco non pregava?”. Questo a significare che tutto in don Bosco era preghiera.

Questa è anche la meta della nostra vita: vivere costantemente alla presenza di Dio, con quella che i padri della Chiesa chiamano la “clausura del cuore”, che altro non è che un custodire il cuore, perché sappiamo che da esso sgorga la vita (cfr. Prov 4,23) affinché chi ci incontra possa chiedersi: “Ma quando non prega?”