La scelta dell’educazione: attualità e profezia di ieri e di oggi
Essere innovativi a volte non significa fare cose fuori dagli schemi ma è accogliere le novità che riserva la vita con audacia e capacità di rischiare, con lo sguardo e il cuore aperti a Dio, agli altri e al mondo. È forse questo che meglio caratterizza la figura di Maria Domenica Mazzarello, una donna del suo tempo e per il suo tempo, ma anche oltre il suo tempo.
La sua vita si svolge nel contesto rurale dell’Ottocento piemontese che alla donna riservava prospettive d’impegno circoscritte alla famiglia e al lavoro agricolo. Tuttavia, alcuni eventi accolti nella fede, la spinsero ad andare oltre facendo di lei un capo cordata, una apripista per tante altre giovani donne che l’avrebbero seguita nell’avventura della vocazione educativa salesiana.
L’adesione all’Associazione delle Figlie di Maria Immacolata fu una prima importante apertura per lei e per altre giovani di Mornese.
Questa appartenenza, infatti, significava uscire dal cerchio familiare per vivere in Parrocchia una carità concreta al servizio della gente e di tutti i suoi bisogni: dalla cura dei poveri e dei malati, all’impegno nella catechesi e nell’oratorio festivo per fanciulle e ragazze, fino alla presa in carico delle “madri di famiglia”, uno spazio di dialogo e di confronto di cui Main fu subito protagonista autorevole nonostante la giovane età.
Questa esperienza fu il primo passo di affrancamento dallo stereotipo femminile del tempo, preparando il terreno per nuove aperture.
Con la malattia del tifo, che di fatto le precluse il lavoro nei campi, Maria D. fu spinta a cercare nuove vie per dare continuità al suo impegno orientandolo più decisamente verso l’educazione delle ragazze di Mornese. Con Petronilla, amica fedele e preziosa alleata, pensò di fondare un laboratorio di sartoria che non solo fosse per queste giovani una buona esperienza professionalizzante, ma contribuisse anche alla loro formazione umana e cristiana, possedendo di fatto le caratteristiche ideali per sintonizzarsi con il Sistema preventivo di don Giovanni Bosco. Questa armonia di finalità e di metodo con il fondatore dei Salesiani, che di lì a poco si recò a Mornese, aprì la strada ad un ricco e fecondo rapporto tra i due, anch’esso affrancato dal modello classico delle grandi fondazioni religiose, perché primariamente concentrato sullo scopo di fondare un Istituto di educatrici consacrate per l’educazione delle giovani dei ceti popolari: le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA).
Ricco della sua ormai consolidata esperienza pedagogica, don Bosco incrementò fortemente nelle prime FMA la sensibilità per l’educazione della donna adoperandosi in particolare per la loro formazione culturale. Così, appena ad un anno dalla sua fondazione, il Collegio di Mornese si presentava al pubblico come “un buon Collegio per ragazze” offrendo non un generico programma di educazione femminile, come era in uso in altri educandati coevi diretti da religiose, ma una vera e propria scuola elementare con annesso educandato. In un tempo nel quale l’istruzione femminile era considerata inutile e persino dannosa, questa fu davvero una scelta innovativa, un’esperienza di avanguardia per la promozione della donna.
L’Istituto, di cui quest’anno si celebrano i 150 anni di fondazione, pose radici solide grazie a queste prime FMA che da semplici e ignoranti contadine, con impegno e intraprendenza divennero maestre e poi, con la fondazione della Scuola Normale di Nizza Monferrato, formatrici di future insegnanti la cui missione educativa avrebbe contribuito a preparare le cittadine dell’Italia nascente e, con le missioni all’estero, anche quelle di molte altre nazioni del mondo.
L’educazione cristiana, con il suo potere trasformativo, è la vera energia del cambiamento di ieri e di oggi ed è questa la missione accolta con audacia da Maria D. e dalle prime FMA. La fede è il fondamento di questo coraggio, simbolicamente rappresentato dall’esempio del buon samaritano che Papa Francesco, nella Fratelli tutti, addita quale principio di nuova umanità. Questi è una persona che, di fronte al bisogno dell’altro, si ferma e osserva, si lascia toccare dalle sue ferite e se ne fa carico, evitando di girare la testa dall’altra parte, accettando di fare la sua parte e aggiungendo così il suo piccolo ma prezioso tassello nel grande mosaico della civiltà dell’amore. C’è forse una rivoluzione più profetica e necessaria di questa?
suor Piera Ruffinatto, FMA