HabitArt: un modello di educazione

Di Stefano Arduini

 

«Un programma buono non può essere dato, ma solo indicato e deve tener conto non di un sapere nozionistico da ripartire, ma di ciò che è il bambino e di ciò che vede e capisce e ama. Ma fare questo significa far saltare tutti i piani prestabiliti, l’orario, la dittatura del maestro nella classe, il metodo d’insegnamento».

Era il 1963 quando il maestro Mario Lodi scriveva queste parole in “Non c’è speranza se questo accade al Vho“. Una delle opere più significative del grande pedagogo, protagonista di una stagione di rinnovamento del modello educativo, che superava l’autoritarismo che fino ad allora aveva determinato l’azione di educatori e insegnanti.

 

Commentando i diari di Lodi Gianni Rodari così sunteggia il cambio di prospettiva:

«Il maestro è lì per tener viva la vita: per aiutarla a incanalarsi nelle direzioni più utili, per salvarla dalle dispersioni, per arricchirne il senso, per stimolarne il moto. Non ci sono momenti morti, la noia è bandita. Nessuna curiosità è soffocata. Dalla “distrazione” di un bambino, o da una domanda buttata là quasi per caso, può nascere una fervida attività di settimane e di mesi. Tutte cose documentate, pagina per pagina, nel diario del maestro Lodi».

 

Il metodo dell’Aula dei legami e di HabitArt — nato in un luogo strategico come la città di Napoli (la postfazione firmata dalle professoresse Enrica Morlicchio e Chiara Saraceno ricostruiscono magistralmente il contesto spazio-temporale) e ideato dalla cooperativa sociale Dedalus, guidata da Elena de Filippo, da anni non sono solo punto di riferimento dell’innovazione a livello territoriale e nazionale, ma anche del pensiero sociale sull’asse integrazione-educazione — si colloca nel solco tracciato da Lodi e ripercorso da Rodari.

 

L’approccio è quello della ricerca-azione, attraverso cui gli interventi si modellano in corso d’opera a seconda dei rimandi dei ragazzi e di tutti i soggetti coinvolti nella loro presa in carico comunitaria: famiglie, associazioni, insegnanti, amministratori.

 

Il pensiero è solido, l’intervento elastico e in grado di mettere a valore le potenzialità della rete di intervento. In questo caso in particolare le relazioni con gli artisti che circuitano intorno all’esperienza di Dedalus e del centro interculturale Officine Gomitoli di Porta Capuana.

 

«HabitArt è un habitat sia fisico che emotivo che con il linguaggio artistico accoglie adolescenti di diverse origini e provenienza proponendo una convivenza positiva attraverso la bellezza, lo sviluppo dei talenti e la creatività», chiosa Alessia Montefusco, coordinatrice artistica del centro interculturale. Una delle voci raccolte dalla ricercatrice Luisa Bencivenga che ha molto ben curato il racconto e l’analisi di questo modello di innovazione sociale che, generato in pieno lockdown, merita di essere conosciuto e studiato per poter essere re-interpretato in altri contesti sociali.

 

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Fonte: vita