Valeria: 37 anni, cinque figli e uno in affido. In occasioni del Sinodo sulla Famiglia, le abbiamo chiesto di raccontarci quali siano le sue riflessioni su un tema tanto dibattuto
Se soltanto 15 anni fa mi avessero detto che a 37 anni sarei stata mamma di 5 figli non ci avrei creduto. Se mi avessero detto che avrei avuto un ragazzino in affido per 4 anni, avrei dato del pazzo a chiunque fosse l’interlocutore. Se mi avessero detto che avrei vissuto alcuni anni in una casa di cui non fossi proprietaria, ma soltanto “amministratrice” con un progetto di accoglienza… bè, avrei smesso di ascoltare!
Vengo da una famiglia “normale”, due sorelle più grandi, una mamma e un papà che ci hanno amato e hanno dato tutto per noi. Nasco in Calabria e poi mi trasferisco, seguendo il cammino delle mie sorelle, a Milano per studiare all’università. Qui vivo da studente e mi “diverto”… oltre agli studi conosco la vita tipica degli studenti, quella sana, senza esagerazioni, ma con la spensieratezza di chi ha 20 anni, un po’ di libertà e di lieve incoscienza.
Nel 2000 spinta dal desiderio di incontrare il Papa decido di partecipare ad un pellegrinaggio organizzato dal Pime a piedi verso Roma, e lungo il cammino incontro Paolo, l’uomo che mi ha cambiato la vita. Nel 2002 ci sposiamo pur dopo un fidanzamento intenso e difficile, con tante domande nel cuor, ma col desiderio di vivere insieme PER SEMPRE, sostenuti dal Sacramento. Cominciamo un cammino di ricerca della “nostra strada”, che conciliasse i miei e i suoi desideri per farli diventare i “nostri”.
Quali erano i miei sogni? Quelli forse di tante ragazze della mia età: sposarsi, avere un marito con cui condividere la vita, una famiglia con tanti figli (sì, quello era già parte di me, anche se forse non immaginavo di andare così avanti!), lavorare quel tanto che basti per sentirsi gratificata ma senza compromettere la famiglia …
Mio marito invece sognava in più una famiglia aperta, che sapesse donarsi non solo a sé stessa, ma anche a tutti coloro che si trovano nel bisogno, e un lavoro che non servisse solo ad accumulare profitto per sé e per gli altri, ma che avesse un senso più profondo e sociale. E’ sempre stato spinto dal desiderio di rendere giustizia, dal desiderio di restituire ciò che aveva a chi non era fortunato come noi.
Spesso mi viene chiesto come si faccia a gestire così tanti figli… Bè, bisogna avere almeno un paio di qualità che io non ho… La capacità di organizzare (tutto, dalla pulizia della casa al cibo da preparare, dalle attività extrascolastiche ai compiti, dalle merende agli amichetti in casa) e tanta, ma proprio tanta pazienza (soprattutto negli inevitabili litigi!). Oggi sto imparando a fare la mamma in un cammino che ogni giorno sembra ricominciare, che è tutto in salita, ma è incredibilmente gratificante e appagante. Basta un disegno con un cuore e con la frase “ti voglio bene mamma”, perché si sciolgano tutte le tensioni e le fatiche che inevitabilmente la vita porta con sé.
Non posso negare però che certe sere, dopo che i figli se le sono date sia con le parole che con le mani, dopo che mi hanno usata come capro espiatorio delle loro tensioni, dopo lunghe e interminabili discussioni per mediare i loro litigi, dopo aver ascoltato gli sfoghi di tutti, io mi senta inadeguata; mi sembra di non essere “abbastanza”, di non dare loro il giusto tempo, di non riuscire a dividermi tra le esigenze di tutti (magari anche le mie!), di non essere, insomma, un po’ onnipotente quel tanto che basterebbe per accontentare ciascuno… So che non è possibile, ma credo sia un sentire comune a tanti genitori, la fatica di accettare di non poter arrivare a tutto e di non riuscire a rispondere ai bisogni di tutti.
In queste fatiche è importante non sentirsi soli, ma avere una rete parentale, amicale, sociale a cui affidarsi sia concretamente che emotivamente. Io sento molto l’appartenenza della mia famiglia alla Chiesa; e proprio in nome di questa appartenenza anni fa mio marito ed io abbiamo cominciato un cammino presso l’Ass. Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, che esprime la propria vocazione nel seguire Gesù povero e servo nella condivisione diretta della propria vita con gli ultimi, con le persone che si trovano ai margini della società. All’interno di questo percorso abbiamo aderito al progetto della Fondazione Tuendelee (significa camminare insieme) a Melzo che ha assegnato degli appartamenti della propria struttura di accoglienza a due famiglie accoglienti dell’APGXXIII; è in questo contesto che abbiamo scelto di condividere in casa nostra non solo la vita con i nostri figli, ma anche con un bambino non “nostro”, ma che aveva ugualmente diritto di crescere in una famiglia dove respirare il calore che solo un papà e una mamma possono dare.
E’ nella Chiesa che voglio che i miei figli crescano e camminino; spero che i miei figli diventino “buoni cristiani e onesti cittadini”, che realizzino il progetto che Dio ha in mente per loro, e che sappiano con certezza che tutto è grazia, che tutto ha un senso.
Questo è quello che direi al Sinodo sulla famiglia: che la Chiesa ci sostenga nell’educazione dei figli, che ci accompagni, che non ci lasci soli in questa sfida della vita, che proponga e supporti cammini seri ma al tempo stesso accattivanti per i ragazzi, che concilino il desiderio di Dio con il desiderio di gioco e di relazioni con i pari che ognuno ha. Cammini che aiutino i ragazzi a dare risposte ai temi grandi della vita, a quelle domande che prima o poi arriveranno; cammini che non lascino soli i ragazzi nel momento del bisogno, del rifiuto, delle crisi adolescenziali, delle richieste di attenzione e delle crisi di identità.
Cos’è la famiglia per noi? Per i miei figli è essere uniti, volersi bene, condividere nel bene e nel male con tanti fratelli, essere tanti, essere fortunati, ma è anche confusione, litigare e fare pace, arrabbiarsi e chiedere scusa, dare per scontato quello che abbiamo (dal cibo ai vestiti, dai giochi ai libri …) per poi scoprire che per altri non lo è. Per mio marito è quotidiana ricerca del compromesso, tra il tempo che abbiamo e quello che vorremmo avere, tra i sogni che coltiviamo dentro di noi e quel poco che con le nostre forze riusciamo a realizzare, tra il modo in cui pensiamo che i nostri figli siano e come essi sono realmente, così diversi da noi e così unici… Per me è tutto questo insieme ad una buona dose di reciproco perdono e di reciproca gratitudine; è il sì incondizionato alla vita che diciamo ogni giorno, la sfida che siamo chiamati a compiere ed è il miracolo più grande che ci possa essere, quello della quotidianità che non fa notizia, ma che costruisce il futuro.
Valeria, Paolo e figli