Myanmar: un rumore assordante

Sciopero generale in Myanmar venerdì 10 dicembre.
Non per le strade, ma nelle case. Un silenzio in cui si potevano sentire anche i battiti del cuore delle formiche…

 

Caro direttore,

venerdì 10 dicembre in tutto il paese si è tenuto uno sciopero generale con un’adesione totale e assoluta. Non solo i lavoratori dipendenti, ma tutti hanno aderito, anche i commercianti, i venditori delle bancarelle, i taxisti e ogni cittadino hanno aderito allo sciopero.

Ma ciò che mi ha colpito non è stata solo la totale adesione, ma anche la modalità con cui si è concretizzato. Infatti lo sciopero generale non poteva essere concepito in modo classico: manifestazioni, discorsi, colonne sonore più o meno adeguate. Le circostanze non lo consigliano. La modalità è stata di stare tutti in casa in silenzio. Ovunque regnava un silenzio spettrale. Prendendo a prestito un’immagine di un bel romanzo di Sendker (“L’arte di ascoltare i battiti del cuore” – parzialmente ambientato in Birmania): avreste sentito anche i battiti del cuore delle formiche.

Le grandi città (Rangoon, Mandalay) erano deserte. Non c’erano auto, pedoni, bancarelle. Sembrava di assistere ad un qualche film hollywoodiano stile “The day after”. Strade solitamente intasate erano deserte, anche la Borsa delle pietre preziose era chiusa (è un centro che non chiude mai), centri commerciali vuoti. Nessuna bancarella, nessun venditore di bettel. E questo è avvenuto ovunque: nei sobborghi, nei paesini, nelle campagne. Se si voleva la riprova del grado di rifiuto alla politica del governo (e per converso di apprezzamento delle forze democratiche), il risultato è sotto gli occhi di tutti.

 

La cosa in sé non è un elemento che modifica il quadro, ma non è neanche da sottovalutare. Un’adesione così massiccia e imponente non era affatto scontata. Anche perché le pressioni per rimanere aperti da parte del governo erano pesanti, ben note e ripetute. Invece: tutti in casa. Tutti.

 

Non voglio fare il filosofo (che non sono), ma oggi qui si è visto all’opera veramente la libertà della persona. Di ciascuno. Vista anche la temperatura di Rangoon, mi sembrava di essere ad agosto a Rimini dove so che si è tenuto il Meeting dal titolo “Il coraggio di dire io” o di vedere ancora una volta applicato “il potere dei senza potere” di Havel. Ognuno dei 60 milioni di birmani ha detto “io” e ha usato “il potere dei senza potere”.

Sono invece – ancora una volta – veramente dispiaciuto nel constatare il silenzio dei mezzi d’informazione occidentali su quanto avviene in questi giorni in Birmania. L’evento di venerdì ha un valore enorme, perché ha coinvolto tutta una nazione, ma il cui significato ritengo sia mondiale: 60 milioni di persone in silenzio hanno fatto un rumore assordante. Invece, niente.

 

Come pure sono stupito dal silenzio sulla strage di mercoledì scorso a Daw Taw, che – drammaticamente – non ha nulla di diverso, se non i numeri, da quella di My Lai fatta dagli americani nella guerra del Vietnam (reminiscenze sessantottesche). Non posso perciò che esserti ancor più grato per l’ospitalità che dai a queste mie mail. Venerdì sera sono comunque andato a dormire un po’ più sollevato.

 

Aggiungo una mia riflessione assolutamente personale. In questo quadro, il popolo pur dimostrando una grande maturità, ha bisogno di guide e sostegno. Sicuramente la religione buddista uscirà massacrata da questa esperienza per l’assenza di giudizi e indicazioni da parte delle sue gerarchie. E’ un buddismo sempre più da sacrestia e consolatorio. La gente si chiede esplicitamente il perché di questo silenzio.

Anche la Chiesa cattolica, che pure ha una grande autorità morale, dovrebbe e potrebbe far sentire più alta la sua voce. I vescovi locali si sono espressi chiaramente. Il cardinale Bo di Rangoon ha posizioni più sfumate, con tentativi di dialogo. Posso capirne le finalità, ma le ragioni della diplomazia e opportunità ormai sono saltate (specie dopo i fatti di questi giorni: processi farsa, uccisioni di bambini, stragi indiscriminate in città come nelle campagne, adesione totale allo sciopero). Se “il pastore deve puzzare di pecora” la strada dovrebbe essere chiara! C’è un intero paese che cerca una guida che non trova fra i grandi monaci buddisti. Ci vorrebbe un Wyszynsky, il primate polacco ai tempi della Guerra fredda e di Solidarnosc.

 

Un lettore dal Myanmar

 

Fonte: ilsussidiario