4^ Domenica di Pasqua

4^ Domenica di Pasqua
25 aprile 2021
Vangelo di Giovanni 10, 11-18
Commento di suor Silvia Testa, FMA

 

In questa quarta domenica del tempo di Pasqua, la Chiesa ci regala una delle più belle e affascinanti immagini che Gesù dà di se stesso: “Io sono il Buon Pastore”.
“Io sono il buon pastore”, anzi, “Io sono il Pastore bello e vero”.
Il quarto evangelista, infatti, usa l’aggettivo greco kalòs, che può essere tradotto sia con bello che con vero. Gesù sta dicendo qualcosa di Sé che va oltre la bontà. Cosa significa allora che il Pastore è bello e vero?
Nessun giro di parole: è colui che dona la vita: “Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore”; espressione utilizzata cinque volte in questa pericope.

La bellezza e la verità del pastore si riconoscono dai gesti compiuti e dal motivo per cui li compie: dare la vita. Pierangelo Sequeri, nel testo l’Estro di Dio, con molta semplicità e chiarezza attesta: “la forma della bellezza è quella del dono”. Ma Gesù non parla solo del dono di Sé durante l’ultima cena e sulla croce, indica il suo modo di essere che si manifesta in ogni gesto, parola, sguardo, silenzio. La dimensione estetica presentata da Gesù non ha nulla a che fare con la semplice apparenza esteriore.

Posso dire di me “sono una bella persona”? Proprio a partire dal mio modo di essere, gli altri possono dirlo sempre?
San Francesco di Sales direbbe: «Non parlare di Dio a chi non te lo chiede. Ma vivi in modo tale che, prima o poi, te lo chieda».
Gesù mette in luce quanto appena affermato attraverso l’antitesi, mettendosi così a confronto con l’opposto, con il mercenario. Per il mercenario ciò che conta è il valore della paga, della retribuzione che riceve (appunto mercede) per il servizio di vigilanza alle pecore, non il valore vero di queste. Il mercenario non ha nessuna relazione particolare con le pecore. Infatti se arriva un pericolo, non può mettere a repentaglio la sua vita, scappa, lasciando le pecore in balia del lupo. Di lui diremmo: “Che brutta persona!”.

Sappiamo riconoscere i mercenari che ci circondano? O forse, talvolta, lo siamo anche noi attraverso scelte di comodo, di torbido interesse. Basta andare a fondo nelle nostre relazioni e magari anche noi ci riconosceremmo così; soprattutto in alcune relazioni in cui pensiamo di voler bene, ma talvolta non è il vero bene dell’altro che desideriamo, piuttosto un tornaconto, anche affettivo.

Per Gesù invece il centro di interesse, di attenzione, sono le pecore, quindi ognuno di noi. Egli è Colui che non fugge, non ci abbandona, soprattutto quando arrivano i guai o quando nei guai ci siamo messi da soli. Nei momenti di smarrimento, Lui rimane accanto a noi, ci custodisce, si prende cura di noi facendoci sentire amati e conosciuti nel profondo, con tenerezza ma anche con forza, fino a donare la vita.
La sorgente per Gesù è l’amore che riceve dal Padre con cui, a sua volta, avvolge la nostra vita, e quella di chi si sente più lontano, di chi sta fuori dal recinto: “Così come il Padre conosce me, io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore… Le altre pecore che non provengono da questo recinto”.
Un circolo di amore che ci coinvolge, che ci chiama a divenire testimoni della sua infinita tenerezza per ognuno di noi con tutto ciò che siamo e viviamo, negli attimi di ogni giornata.

Oggi non può mancare la preghiera per ogni pastore della Chiesa, affinché, secondo le parole di Papa Francesco, abbia sempre più “l’odore delle pecore”. Nemmeno può mancare il nostro rinnovato desiderio e impegno a lasciarci profondamente amare dal Pastore Bello e Vero, per essere ogni giorno veri amanti. Da amati ad amanti, senza sosta. Sempre.