La migliore politica

da | 12 Apr 2021 | Giovani

di Luca Croci, Castellanza

 

A parer mio, i problemi della politica attuale sono la mancanza di una visione a lungo termine e una ottusione culturale generalizzata.

La prima motivazione è facilmente osservabile: la stragrande maggioranza delle riforme o delle soluzioni proposte dai recenti Governi mirava a raccogliere il consenso in una particolare fetta del popolo. Economicamente parlando, le riforme a lungo termine avranno benefici sugli individui presenti tra 10-15 anni; peccato però che quegli individui non sono gli stessi che partecipano al voto oggi e quindi non riconoscono nel politico di oggi la fonte di tali benefici.

È proprio a causa di questa discrasia temporale che i politici di oggi preferiscono portare benefici agli individui di oggi, che sono anche quelli che votano nell’immediato. Questa visione così povera non porta certamente a una politica giusta. Come riporta anche il testo del capitolo V della Fratelli tutti, la ricerca del consenso e del voto sta prevalendo sulla ricerca del beneficio comune del popolo. Soprattutto in Italia, sembra di essere schierati in diverse fazioni contrapposte: se una perde, l’altra ne beneficia. Allora, spesso, la classe politica cerca di accentuare questa divisione, con lo scopo di consolidare i “fedeli” alla propria fazione e tentando di sottrarne altrettanti alla fazione avversaria.

Dove sta allora il beneficio comune? Se il mio avversario non cerca il beneficio comune, perché lo devo cercare io?

La risposta a queste domande sembra essere presente proprio in noi cristiani, in quell’insegnamento che dice “tendi la mano verso il prossimo”. Noi cristiani, in primis, siamo chiamati a fare questo passo: cercare di venire meno noi, per far crescere il beneficio comune (vedi riferimento a Giovanni il Battista).

Purtroppo, la fede cristiana, secondo me, è in forte difficoltà nel 2021, complice il fatto che è facile trovare altrove qualcosa in cui credere. Le persone vanno a Messa solo per abitudine, i genitori non lasciano ai propri figli “la libertà di volare”, preferendo una domenica pomeriggio in casa o a fare shopping piuttosto che in oratorio con altri ragazzi. Non tutti sono così, ma noto che negli ultimi anni questo fatto è un fenomeno in evoluzione. Siamo sempre meno e difficilmente ci facciamo coraggio l’un l’altro per compiere questo “primo passo” di cui parlavo prima.

 

La seconda motivazione è riconducibile alla chiusura di ciascuno di noi nella propria zona di comfort. Tendiamo a riascoltare quelle credenze e quelle idee che già abbiamo, piuttosto che provare ad ascoltarne di nuove che magari possono scombussolarci. È difficile buttarsi in qualcosa di nuovo, preferiamo restare dove siamo invece di rischiare e tentare di trovare qualcosa di più giusto per noi.

Questo discorso vale per tutti, e quindi anche per la politica. “O va bene quello che dico io, altrimenti non posso essere d’accordo con te”. A quanti dibattiti politici veri stiamo assistendo recentemente? Pochissimi: è una classe politica povera.

La via giusta che secondo me bisogna intraprendere è quella della curiosità nel conoscere nuove culture, innanzitutto. In politica, il passo da fare è quello rivolto all’inclusione, non all’esclusione. Bisogna favorire un’aggregazione culturale generalizzata, che non significa creare una cultura uguale per tutti ma accettare e promuovere la valorizzazione di ognuna in ogni contesto sociale.

 

Riprendendo il paragrafo 188 del capitolo V, Fratelli tutti, il compito del miglior politico deve essere quello di prendersi cura della fragilità dei popoli e delle persone. Questo significa occuparsi degli ultimi, di quelle persone scartate dalla società, che spesso risultano invisibili agli occhi di tutti.

La frase che mi colpisce di più è la seguente: “Significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità”.

Il concetto di dignità è molto rilevante per le persone povere, per i senzatetto, per i malati, per i più bisognosi in generale. È forse la cosa che sentono mancare maggiormente, insieme all’affetto di una persona che sappia stare loro vicino.

Quale potrebbe essere il nostro comportamento nei loro confronti? Io suggerisco un sorriso, un saluto, far sentire loro la nostra presenza, pur stando in silenzio; suggerisco uno scambio di parole, un confronto su pensieri contrastanti: anche loro possono insegnarci qualcosa. È un passo difficile da compiere, soprattutto se si è da soli a farlo, ma conosco tante iniziative che ci aiutano in questo, a non sentirci soli nel compiere questi gesti e a darci coraggio l’un l’altro.

 

Quindi di cosa deve preoccuparsi un politico? Io penso che dovrebbe sempre cercare un’effettiva soluzione al problema dell’esclusione sociale ed economica di alcuni individui, come suggerisce il Papa. Questa esclusione porta sicuramente a risvolti negativi. Per citarne alcuni: sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, prostituzione, traffico di armi e droghe, terrorismo, criminalità.

Il ruolo del lavoro è anche quello di allontanare le persone da queste conseguenze, portandole fuori da situazioni di gravi necessità e dando loro delle piccole soddisfazioni, per sé e per la famiglia, facendo assaporare il gusto della dignità di cui parlavo prima. Il ruolo del lavoro è fondamentale. È uno dei valori principali su cui si basa la nostra Costituzione e il miglior politico deve sapere discernere quando un provvedimento è a favore o a sfavore del lavoro.

 

Concludo riprendendo brevemente la parte finale del testo. “…la domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande saranno: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?”.

È questo l’orizzonte a cui bisogna puntare: lo scopo deve essere quello di mettere al centro il bene del popolo, che per me significa creare progresso economico, dare la possibilità di un “ascensore sociale” a tutti (attraverso lavoro e istruzione), risolvere conflitti e situazioni di disagio sia all’interno del nostro piccolo ma anche pensando più in grande: nel quartiere dove abitiamo, nella nostra città, nel nostro Paese, nel mondo.