Domenica delle Palme

Domenica delle Palme
28 marzo 2021
Vangelo di Marco 14,1-15,47
Commento di suor Rita Fallea, FMA

 

Mi trovo certamente in imbarazzo nel commentare le letture di questa solenne Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

La ricchezza e l’abbondanza della Parola offerta è da sé stessa più eloquente di ogni piccola aggiunta che potrei apportare; ed esistono, inoltre, molti commentari di persone autorevoli che conducono a comprendere le pericopi evangeliche di Marco proposte nella liturgia di oggi (Mc 11, 1-10; Mc 14, 1-15, 47).

Mi domando dunque: quale parola potrò mai dire?

Mi solleva e mi sostiene l’espressione del profeta Isaia nella prima lettura:

Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro.

Is 50, 4-5

L’unica cosa è forse questa: lasciare che il mio orecchio sia attento e non tirarmi indietro, non opporre resistenza all’ascolto della Parola del Signore e a quanto suscita in me e, vorrei dire, anche in voi. Da tale ascolto potrà poi nascere una parola di conforto per lo sfiduciato, per chi ha il cuore oppresso da molti fastidi, per chi ha perduto la speranza di una strada di pace, per chi si sente angosciato, per chi è triste o solo…

Quale Parola risuona, dunque, tra le tante che oggi ascoltiamo?

Quale rivolgo a voi e a me, a quella parte di me e di voi che si trova nello sconforto e nell’attesa di speranza?

Io voglio lasciar risuonare la parola di San Paolo nella lettera ai Filippesi:

Gesù Cristo è il Signore!

(Fil 2, 6-11)

 Celebriamo infatti il mistero della Passione del nostro Signore Gesù Cristo per partecipare con lui alla sua Resurrezione.

La porta di Gerusalemme si apre per lasciar entrare il Signore, seduto su di un asino: entriamo anche noi, oggi, nella Settimana Santa. L’ingresso in Gerusalemme conduce verso la drammaticità dei giorni che seguiranno; anche noi proviamo ad entrarci e a camminare dietro a Gesù negli eventi della nostra redenzione. Ci troveremo il Giovedì Santo a partecipare con i discepoli all’istituzione dell’Eucarestia, resteremo ai piedi della Croce il Venerdì Santo, e ci lasceremo invadere dal silenzio e dalla preghiera del Sabato Santo; finché poi, ricolmi di meraviglioso stupore, esulteremo di gioia per la Resurrezione del nostro Signore Gesù Cristo.

Un altro appunto.

I cattolici di rito ambrosiano chiamano la Settimana Santa “Settimana Autentica”.

Mi colpisce questa espressione: autentica. Mi pare sottolinei chiaramente come in questi giorni riscopriamo i misteri autentici e fondanti della nostra redenzione e dunque della nostra fede (Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede, 1Cor 15, 14. […] Ora, invece, Cristo è risorto, 1Cor 15, 20). È in questi giorni che possiamo togliere la patina opaca di ogni falsa certezza, di ogni illusione fatua e vana, di ogni diabolico scoraggiamento che ci portiamo talvolta nel cuore e nelle giornate, rendendole inautentiche. È autentica perché proprio in questi giorni, celebrando il memoriale della passione redentrice del Signore, se ne attua la memoria operante e salvifica. È settimana Santa e Autentica perché l’amore di Dio si è manifestato concretamente e autenticamente in Gesù Cristo.

Mi soffermo ancora su questa “porta di Gerusalemme”, un varco che ci conduce dalla morte alla vita.

Don Bosco ha trovato che nell’opera educativa, che andava via via realizzandosi attraverso le sue ruvide e tenerissime mani, si rivelasse l’immagine di Cristo Buon Pastore, il quale accompagna ciascuna pecorella con infinita pazienza e con salda amorevolezza, chiama ciascuna per nome e la guida con forte tenerezza e sicura dolcezza. Don Bosco e Madre Mazzarello richiamano a tale icona la loro carità, ed è la stessa forma di carità operosa richiesta al Salesiano, alla Figlia di Maria Ausiliatrice.

Nel brano del Vangelo di Giovanni, al Capitolo 10, nostro Signore Gesù Cristo parla di sé con tale immagine carica di suggestione e di fascino: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10, 11). Ma qui mi preme ricordare, proprio a proposito della “porta”, le parole che egli ha rivolto agli ascoltatori nei versetti appena precedenti: “Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. (Gv 10, 7-10)

 Ecco, tale porta di Gerusalemme si fa così metafora della stessa porta che è Cristo Gesù. Attraverso di lui, solamente, siamo salvati, poiché solo attraverso di lui riusciamo a conoscere quale immenso amore ha per noi il Padre Nostro che è nei cieli. E conoscendolo possiamo offrirne a chi ci sta accanto un tremulo raggio di luce.