Ultima domenica dopo l’Epifania – Anno B

Ultima domenica dopo l’Epifania – Anno B
14 febbraio 2021
Vangelo di Luca Lc 18, 9-14
Commento di suor Antonia Franzini, FMA

 

Siamo giunti all’ultima domenica dopo l’Epifania detta “del perdono”. Si chiude così il tempo liturgico incentrato sul mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore e con le letture di oggi già intravvediamo la Quaresima, di cui celebreremo la prossima domenica il suo inizio.

Il brano di Isaia che apre le letture della Domenica si riferisce alla volontà di Dio di ristabilire Gerusalemme dopo la sua distruzione a opera dei Persiani e la deportazione del popolo. È interessante notare come Isaia (che più e meglio di altri cita spesso il Messia che comparirà 700 anni più tardi), usi la metafora matrimoniale, non però come spesso fanno gli altri profeti, soliti a mettere in evidenza la spaccatura dell’alleanza tra Gerusalemme e Dio. Isaia, il cui nome in ebraico significa “Il Signore ha salvato”, usa infatti la metafora nuziale per esaltare la reintegrazione di Gerusalemme nella grazia e nell’amore divino.

L’abbandono di Dio è “per un momento piccolo” (v.7), dopo di che, segue un affetto a cui Dio non verrà mai più meno per nessuna ragione. Tale affetto è quella salvezza che non conosce termini di tempo. Questa salvezza eterna che prende forma nella Misericordia e nel Perdono che Dio, attraverso Gesù, dona a tutta l’umanità è ben rappresentata nella Parabola che occupa il capitolo 18 ai versetti 9-14 del Vangelo di Luca. Questa parabola, detta del “fariseo e del pubblicano”, fa parte di quelle sconcertanti novità e quei numerosi “colpi di scena” a Gesù ci abitua nel suo Vangelo.

Vediamo chi sono i due protagonisti del racconto. Il fariseo è un uomo di grande fede: digiuna due volte la settimana; tende a riparare i peccati degli altri e a intercedere per il popolo per ricevere le benedizioni di Dio. Paga dunque la decima anche per gli altri, di tasca propria. In tal modo può dire al Signore: “Molti sono disonesti ma, Signore, non prendertela; molti sono bravi come me”…

Il pubblicano invece teme il Signore ed ha paura di Lui, del resto è consapevole di non comportarsi bene… Tutti i suoi concittadini, a motivo del suo lavoro di esattore delle tasse romane, lo considerano, senza mezzi termini, un ladro. Se volesse convertirsi secondo la legge, dovrebbe restituire tutto quello che ha rubato, aggiungendovi gli interessi, e abbandonare immediatamente la sua infame professione. Pure i rabbini affermano che per i pubblicani la salvezza è impossibile.

Questi sono i due personaggi di cui parla Gesù ai discepoli. Infatti, la parabola è raccontata a loro che si fidano di Lui e che hanno deciso di seguirlo; mostra quale deve essere lo stile del discepolo e perciò della comunità cristiana in genere. Lo stile è ben riassunto dalla sferzata di Gesù che, riferendosi all’atteggiamento del Pubblicano, dice ai discepoli una cosa che scardina tutte le certezze etiche e sociali che fino a quel momento erano considerate i pilastri per il popolo ebraico.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece chi si umilia sarà esaltato.

 Probabilmente sarà calato il silenzio tra i fedelissimi di Gesù all’ascolto di queste parole…

Un silenzio che rischia di arrivare fino ai discepoli di oggi e alle nostre comunità. C’è sempre il latente pericolo per i buoni di sentirsi migliori degli altri, di chiudersi nella propria onestà e di disprezzare chi è diverso. Segue poi, a questo primo pericolo, un secondo che è quello di dividere la comunità cristiana tra “giusti” e “disonesti”…

Il fariseo, onesto nel suo comportamento, pensa di poter tirare Dio per la giacca e immagina che il Signore, come lui, provi ribrezzo per i peccatori. A smontare questa teoria e comprendere cosa Dio pensa dei peccatori, ci aiuta l’Apostolo Paolo che, riferendosi a Gesù, dice in 2 Cor 5,21: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”.

Non è la prima volta che Gesù sceglie come modello di conversione un rappresentante meno nobile della società. Altrettanto famoso è il caso del buon samaritano (cfr. Lc 10) e della prostituta (cfr. Lc 7) che, guarda caso, ritroviamo entrambi raccontati nello stesso Vangelo di Luca, quali luminosi esempi di conversione.

Questa parabola pone grossi problemi nei nostri giudizi verso le persone e nelle conseguenze che tali giudizi hanno. Ogni persona, lo diciamo spesso ma chissà se ne siamo poi convinti, è un mistero e solo Dio sa leggere questo mistero. A noi, dice Gesù, spetta di vedere il bene e di amarlo, ma anche di accogliere, di portare pace, di riconoscere ciascuno come persona che merita attenzione, poiché il fine primo di un rapporto umano è costruire comunione e il fine ultimo di ogni relazione fondata sulla fede è raggiungere Cristo!

Gesù, che guarda il cuore di ogni persona, ci mostra lo stile che deve impregnare le nostre comunità. Se un pubblicano può incontrare il perdono e la misericordia di Dio, nel disordine delle sue relazioni, anche per noi c’è ancora speranza…