2^ Domenica dopo Natale – Anno B

2^ DOMENICA DOPO NATALE – ANNO B
3 dicembre 2021
Vangelo di Giovanni 1, 1-18
Commento di suor Maria Vanda Penna, FMA

 

Come affacciarsi sull’abisso teologico-spirituale che Giovanni ci fa intravedere nel prologo del suo Vangelo?

Questo è certamente l’inno più importante alla PAROLA, il cantico di gloria al Verbo che era al principio, non della creazione, come inizia la Genesi, ma ben prima della creazione e per cui furono fatte tutte le cose.

I biblisti e i teologi hanno versato e verseranno fiumi di inchiostro per approfondire questo testo;  a noi è messo semplicemente tra le mani perché leggendolo e rileggendolo, meditandolo e contemplandolo, accettando di poter solo sfiorare il mistero che contiene, ne abbiamo gioia, vita e vita in pienezza… Giovanni, che l’ha scritto e ce l’ha consegnato, ha avuto la grazia di penetrare un poco nel mistero che annuncia, se, come è stato detto, alla fine della sua lunga vita, non sapeva dire altro che “figlioli miei, amatevi l’un l’altro”. Per amore, infatti, il Verbo si è fatto carne, per amore dell’uomo il Padre ha mandato il Figlio “ad abitare in mezzo a noi”, perché noi diventassimo, con la sua grazia, amore.

Il testo greco, tradotto alla lettera, suona “piantò la sua tenda fra noi. Certamente il termine tenda fa pensare alla presenza di Dio nell’arca che stava sotto la tenda, ma ci rimanda anche alla tenda dei pastori, gli ultimi nella società, ai quali gli angeli annunciarono la nascita del Salvatore.

Il Verbo si è fatto carne”, e carne dice la fragilità della condizione umana, il limite, l’incompiutezza, il destino di morte, …Si è fatto uno di noi – “svuotò se stesso” dice S. Paolo (Fil 2,7) – e ha sperimentato tutto di noi prendendo su di sé, per liberarcene, il nostro peccato.

Dio che si fa uomo: ecco l’abisso del mistero di amore che, se riuscissimo a capirlo fino in fondo, ci farebbe morire di gioia. Perché se per noi Dio ha fatto questo, non abbiamo più paura: Lui è solo amore per noi, è solo fedeltà, è salvezza, è amicizia, è tenerezza, è perdono. Lui conosce il nostro pianto e si commuove per noi, ci cerca quando rischiamo di perderci, fa festa quando torniamo a credere al suo amore e mai si stanca di noi.

Accogliamo un Dio così, abbandonando le mille deformazioni del suo volto che ci hanno forse impedito la resa totale tra le sue braccia di Padre?

Dice sant’Ippolito, che cito dal breviario, Ufficio delle letture del 30 dicembre:

“Quando tu avrai conosciuto il Dio vero […] vivrai in intimità con Dio, sarai erede insieme con Cristo, non più schiavo dei desideri, delle passioni, nemmeno della sofferenza e dei mali fisici, perché sarai diventato dio. […] Se tu ti farai docile ai suoi santi comandi, e diventerai buono come lui, che è buono, sarai simile a lui e da lui riceverai gloria. Dio non lesina i suoi beni, lui che per la sua gloria ha fatto di te un dio”.

Ecco la luce che squarcia le tenebre del mondo. La luce è la vita di Dio che alle tenebre si contrappone. In pochi versetti Giovanni ben sei volte usa la parola luce in riferimento al Verbo che niente e nessuno può vincere.

Questa luce, che diviene la nostra vita, è Gesù stesso, che ha detto di sé “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12). Camminare nella luce vuol dunque dire camminare dietro a lui, vivere e operare come lui è vissuto e ha operato, per quanto è consentito alla nostra umanità, sempre contrapponendoci alle tenebre della mondanità, ma sempre amando gli uomini e le donne del nostro tempo, i giovani in particolare, perché il Verbo si è fatto carne per tutti e perché la nostra umanità è il luogo della sua presenza di amore e di misericordia.

È così più facile capire il limite della legge e riconoscere la forza misteriosa della grazia che ci accompagna in ogni giorno della nostra vita.