3^ Giorno dell’Ottava di Natale | Festa di san Giovanni Evangelista
Vangelo di Giovanni 21,19c-24
Commento di suor Chiara Papaleo, FMA
Che salto del cuore ci chiede questa pagina di Vangelo! Abbiamo appena celebrato la nascita di Gesù e, immediatamente, ci troviamo catapultati oltre la risurrezione, quando il testimone è ormai nelle nostre mani. Eppure, questa scelta della liturgia non è così fuori luogo come ci potrebbe sembrare.
Celebrare il Natale significa davvero accogliere tra le braccia questo Bambino, questo Verbo fatto carne, questo logos fatto carne, questo senso fatto carne, questo motivo fatto carne, questa ragione fatta carne; e leggere questa pagina di Vangelo che invita alla sequela significa decidere che Gesù sia l’unica Parola, l’unico senso, l’unico motivo, l’unica ragione della nostra vita: “A te che importa? Tu seguimi”.
Davanti all’immensità di questo Dio fattosi immensamente povero e immensamente piccolo, potremmo incappare nella tentazione di sentirci inadeguati, di voler essere “come quel mio amico lì, quella vicina di casa là, lui sì che è santo, lei si che sa come si segue Gesù, lei sì che sa pregare… io invece…”. Ed ecco che il Vangelo ci salva e ci mette davanti due discepoli che più diversi di così non potevano essere: uno giovane, l’altro anziano, uno che rappresenta la dinamicità del carisma, l’altro la roccia sicura dell’Istituzione. Giovanni e Pietro.
Pietro dal cuore grande, ma dalla testa un po’ dura, si rende conto che Giovanni è colui che sapeva il segreto del traditore nell’ultima cena, che era entrato al processo di Gesù, che era stato sotto la croce e aveva ricevuto il dono della Madre, che dalla barca riconosce il risorto.
E mi sembra di intuire che quello stesso nostro senso di inadeguatezza aveva invaso anche Pietro, il quale è come se chiedesse a Gesù: “Ma insomma Gesù, io ho capito che devo pascolare il tuo gregge, che sono la roccia su cui si fonda la chiesa, che mi hai dato le chiavi, che posso sciogliere e legare, ma… Cosa devo fare con questo qui? Che è sempre qui con me e mi anticipa sempre, che è più giovane ma capisce tutto e sempre prima di me? Allora devo per forza seguire lui?”. E la risposta di Gesù la conosciamo fin troppo bene con la testa, è il cuore che fa fatica a crederci: “Segui me”: “Tu segui me”. Non devi “seguire” lui, devi “fare” come lui, cioè seguire me”.
E poi c’è quel garbuglio di questioni circa la morte di Giovanni. Ma cosa significa? Sappiamo che Giovanni era il più giovane e, verosimilmente, era probabile che sarebbe morto dopo gli altri, ma qui si parla anche di “ritorno”. Vero è che la prima comunità di cristiani credeva che il ritorno di Gesù nella Gloria sarebbe stato più che imminente, ma qui c’è qualcosa di più profondo: di quale ritorno si sta parlando? Quando il Signore tornerà? Quando il discepolo (ogni discepolo) capirà l’amore del Signore e risponderà a questo Amore con l’amore, con la sua intera vita donata e dedita a questo Amore.
Perché solo attraverso la nostra carne il Verbo può continuare a farsi carne. Il Signore torna, e resta fino alla fine del mondo, quando accettiamo che il suo amore si diffonda attraverso di noi, così come siamo, così diversi come siamo, così impacciati come siamo, così peccatori come siamo.
E, allora, così come il Figlio di Dio si è sentito al sicuro accoccolato al petto della Madre, così il discepolo amato ci mostra quale sia il luogo più sicuro per ogni discepolo: chinato sul petto del Figlio di Dio, per accordarsi al suo stesso battito del cuore.