1^ Domenica di Avvento
Vangelo di Marco 13,1-27
Commento di suor Daniela Tognoni, FMA
La pericope che la liturgia ci offre per questa Prima domenica di Avvento fa parte del cosiddetto Discorso escatologico che il Vangelo di Marco propone al capitolo 13. Il tema è perciò la storia della fine, ma anche la fine (e il fine!) della storia.
La cornice spaziale è degna di nota: Gesù e i suoi sono di fronte a Gerusalemme e guardano il tempio dal quale Gesù era appena uscito. Lì si era scontrato con una religione ridotta a teatro, fatta di personaggi che indossano lunghe vesti, ambiscono a posti di prestigio, pregano per esibizione e poi approfittano per divorare le case delle vedove (Mc 12,38-40). Lì Gesù aveva constatato che una religione così sarebbe stata distrutta dal peso delle tribolazioni della storia.
Ecco allora che nei versetti della pericope odierna viene dipinto uno scenario di distruzione (v.2), guerre (v.7), carestie (v.8), terremoti (v.8), persecuzioni (v.9), omicidi (v.12), odio (v.13), devastazione (v.14), tribolazione (vv.19.24). Non fatichiamo a raffigurare nella nostra mente quanto descritto: avvertiamo una certa familiarità con immagini di questo tipo che si rincorrono in tutti i media schiacciandoci sotto il peso della paura o, addirittura, del terrore.
«La paura ha la stessa radice di pavimento […] mentre il terrore ha il sapore della terra. Come se la radice ultima delle nostre paure stesse anzitutto nel timore d’essere atterrato, calpestato, dimenticato (Walter Magni)». Se la paura ci zavorra alla terra, la speranza[1] ci affranca al Cielo. Raccogliamo allora dal Vangelo di oggi alcune preziose indicazioni per vivere il presente, qui e ora, sulla terra, nel cuore del mondo, tendendo la mano verso quel filo di speranza che ci salda al Cielo.
L’oggi è il tempo della Parola: «[…] è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni» (v.10). Tra un passato che si sgretola generando nostalgia e un futuro che incombe creando timore, la Parola si impone nel Presente, come lampada che illumina i nostri passi. Non possiamo coprirne la luce; al contrario, dobbiamo farla correre veloce in modo che la Buona Notizia raggiunga tutti, non solo i vicini e gli amici. Chiediamo in questi giorni che ci preparano al Natale la Grazia di rinnovare il desiderio di annunciare la bellezza di aver incontrato un Dio vicino.
L’oggi è il tempo della preghiera: «Pregate che ciò non accada d’inverno […]» (v.18). È il tempo per dialogare con Dio, per condividere con Lui le nostre gioie, come il discepolo dei primi versetti; ma anche il tempo per rivolgere a lui le nostre domande, come Pietro, Giacomo e Giovanni; è il tempo per esprimergli le nostre paure e incertezze, per condividere le nostre speranze e i nostri sogni.
Domandiamo per questo Avvento la Grazia di vivere, come i nostri Santi, in uno stato di orazione continua. Madre Mazzarello «parlava poco, lavorava moltissimo e pregava incessantemente» (F. Maccono).
Don Bosco «profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse l’invisibile”» (Costituzioni SdB Art.21)
L’oggi è il tempo della vigilanza. Gesù esorta a più riprese a riservare la giusta attenzione a se stessi e agli altri: «Voi [..] fate attenzione!» (v.23), «Badate che nessuno v’inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno» (vv.5-6). «Ma voi badate a voi stessi!» (v.9). Bisogna essere vigilanti nei confronti di se stessi e mantenersi distanti da falsi dei e idoli.
Chiediamo per questo Avvento la Grazia della vigilanza nella certezza che «Chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro. La sua è una speranza fondata sulla promessa di Dio contenuta nella Parola rivelata: la storia degli uomini cammina verso il nuovo cielo e la nuova terra (cfr Ap 21, 1), in cui il Signore «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4)». (Giovanni Paolo II, VC n°27)
L’oggi è il tempo della perseveranza. Dice Gesù: «Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» (Mc 13,13). Viviamo giorno dopo giorno nel cuore della contemporaneità con la pazienza di chi attende che la foresta cresca, che la pasta lieviti, che la goccia scalfisca la roccia. La perseveranza è la via per la santità. Scriveva Madre Mazzarello: «Dunque mettiamoci proprio davvero per farci sante, preghiamo a vicenda onde possiamo perseverare» (Lettera 26).
All’inizio di questo Avvento rivolgiamo al Padre la nostra preghiera:
Siamo, Padre, davanti a te
all’inizio di questo Avvento.
E siamo davanti a te insieme,
in rappresentanza anche
di tutti i nostri fratelli e sorelle
di ogni parte del mondo.
In particolare delle persone che conosciamo;
per loro e con loro, Signore,
noi ti preghiamo.
Noi sappiamo che ogni anno si ricomincia
e questo ricominciare
per alcuni è facile, è bello, è entusiasmante,
per altri è difficile,
è pieno di paure, di terrore.
Pensiamo a come si inizia questo Avvento
nei luoghi della grande povertà,
della grande miseria;
con quanta paura la gente guarda
al tempo che viene.
O Signore, noi ci uniamo a tutti loro;
ti offriamo la gioia che tu ci dai di incominciarlo,
ti offriamo anche la fatica,
il peso che possiamo sentire nel cominciarlo.
Questo tempo che inizia nel tuo nome santo,
vissuto sotto la potenza dello Spirito,
sia accoglienza della tua Parola.
Te lo chiediamo per Gesù Cristo,
tua Parola vivente che viene in mezzo a noi
e viva qui, insieme con Maria, Madre del tuo Figlio,
che con lo Spirito Santo e con te
vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
(Carlo Maria Martini)
[1] In ebraico “speranza” si dica con la parola che indica “corda”, “filo”. Sperare significa dunque pensare che una corda mette in relazione il mio essere con qualcun altro, che un filo lega gli avvenimenti apparentemente caotici che avvengono.