Nour

da | 16 Ago 2020 | Film

Una bambina siriana sbarca da sola a Lampedusa, dove un coraggioso medico si prende cura di lei cercando anche sua madre.

 

Di Antonio Autieri

 

Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, ormai lo conosciamo tutti o quasi. Anche grazie al cinema: fu Fuocoammare, il documentario di Gianfranco Rosi, a dare un volto e una riconoscibilità a quello che era un nome noto solo ai più attenti alle cronache delle tragedie quotidiane dei migranti nel Mediterraneo o sbarcati nell’isola. Con questo film di finzione, Maurizio Zaccaro riprende liberamente il suo libro Lacrime di sale e una delle tante storie vere vissute dal medico, qui interpretato da Sergio Castellitto. Il medico, che vede continuamente morte e desolazione e fa fronte come può a un disastro epocale, incontra una bambina di dieci anni in fuga dalla Siria. In realtà lei, per quel poco che Bartolo può capire, sembra più interessata a ritrovare la madre che a trovare un suo futuro in Italia. Man mano, grazie anche all’aiuto di una giornalista che riesce a dialogare con gli stranieri in lingua araba, il medico ricostruirà la storia della ragazzina e la aiuterà.

Storia raccontata con una certa sobrietà e che non può non impressionare, Nour ha il limite di arrivare dopo tanti documenti (e documentari) che riescono meglio di un’opera di fiction che non può non avere il sapore di tante operazioni televisive, nonostante l’impegno di Zaccaro a non cedere a facili ricatti emotivi.

Un altro limite è proprio Castellitto, che se da solo può richiamare l’attenzione del pubblico (ma per un piccolo film come questo, non tanto al cinema – anche perché approda in sala ad agosto nel periodo post Covid nell’anno di disgrazia 2020 – quanto nei suoi successivi passaggi tv a cominciare da coproduttore Sky), ne condiziona decisamente gli esiti. Troppo star l’attore-regista per essere un Pietro Bartolo credibile, troppo romano per sembrare davvero siciliano (e solo a tratti “tiene” la parlata sicula, ci sembra); avremmo visto meglio attori meno ingombranti, come Antonio Catania per fare un nome. Ma sono riflessioni forse inutili.

Quello che di utile si può trovare nel film è la storia in sé, certo da conoscere per non volgere lo sguardo altrove di fronte a certe tragedie, di una bambina – ben interpretata dalla piccola Linda Mresy, già protagonista del corto Bismillah che vinse il David di Donatello 2018 – che perde il padre ucciso durante la fuga, vede orrori di ogni tipo e teme di perdere anche la madre. Purtroppo la sceneggiatura rende piuttosto piatti personaggi, dialoghi, episodi (perfino la morte di un bambino cercato dal padre), anche se alcuni confronti tra il medico e la giornalista o l’amico sacerdote, e ovviamente il rapporto essenziale ma bello che si crea con la bambina, sono aspetti a favore del film.

Il regista , come si diceva, evita gli eccessi retorici, come da insegnamento del suo antico maestro Ermanno Olmi cui dedica il film (era di Olmi la sceneggiatura di La valle di pietra, il secondo e miglior film diretto da Zaccaro che si fece apprezzare anche per il poco visto Il carniere). Ma non riesce a trasformare una materia così dolorosa in un film che lasci il segno. Interessante, sicuramente utile, non certo bello.

 

 

Fonte: sentieridelcinema.it