5^ Domenica di Pasqua
10 maggio 2020
Vangelo di Giovanni 14,1-2
Commento di suor Daniela Tognoni, FMA
La pericope evangelica proposta in questa V domenica del Tempo di Pasqua apre il capitolo 14 del Vangelo di Giovanni che è incorniciato dall’invito di Gesù a non vivere nella paura: “Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14,1) “né sia spaventato” (Gv 14,27). Gesù, vero uomo, ha sperimentato il turbamento a motivo della morte dell’amico Lazzaro (Gv 11,33); ha provato l’angoscia di chi è consapevole dell’avvicinarsi della sua stessa fine (Lc 22,42-44); ha sentito il dolore causato dal tradimento (Gv 13,21) e dal rinnegamento (Gv 13,38) da parte degli amici. Dalle parole di Gesù traspare tutta la comprensione per i suoi, smarriti per la notizia della sua imminente partenza e disorientati per l’annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro. Ed emerge anche tutta la sua compassione per chi, in ogni epoca della storia, è turbato dall’incombere della morte e spaventato dal tradimento.
Gesù non domanda di reagire alla paura con il coraggio, ma con la fede: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). Chiede di crescere nell’abbandono fiducioso in Dio che, proprio come un papà e una mamma, prepara una casa per i suoi figli. Per chi vive la paura, la casa è protezione; per chi sperimenta la solitudine, la casa è relazione.
Nel tempo del turbamento e del timore non c’è nulla di più confortante della fede in un Dio che non solo ci prepara una casa, ma addirittura vuole “mettere su casa” con noi e, in noi. Non dobbiamo pensare che Dio predisponga per noi una sorta di nido o di roccaforte in cui accomodarci con lui in una stasi tranquilla, ma infeconda: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Al contrario, Egli, per primo, si muove: “Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Successivamente, ci coinvolge in quel dinamismo tipico dell’amore che porta a uscire da se stessi per prendere casa nell’altro e, al tempo stesso, ad accogliere l’altro così che si senta “di casa”.
Chi prende dimora presso di Dio e si lascia da Lui abitare, assorbe la sua stessa passione per le periferie e matura la sua stessa urgenza di uscire. A questo proposito, alcuni anni fa, la teologa Antonietta Potente scriveva parole che oggi hanno sapore profetico:
Ritornare alla casa non significa che ciascuno cerca di salvarsi con la sua arca di Noè e gli altri muoiano pure nel diluvio: la casa è semplicemente il punto di inizio, la vita quotidiana è il punto di inizio. Si tratta di una mentalità aperta, perché tutto ciò che è quotidiano possa entrare nella sfera pubblica e tutto ciò che è pubblico diventi anche sacramento nelle nostre case, cioè qualcosa che ci suggerisce la presenza di Dio. Credo che in questo momento storico non possiamo schifarci, come direbbe Caterina da Siena, della storia “com’è”. […] Non ci sono scappatoie: nella nostra vita, il punto di partenza è la quotidianità.[1]
Perciò lì dove siamo, mettiamoci in cammino, con la fiducia di chi intuisce la via da percorrere, intravvede la verità da raggiungere ed è affascinato da una vita che lo attrae. Questa via non è una strada, un metodo o una strategia, ma una persona da seguire: è Gesù, che ci conduce al Padre. Questa verità non è un concetto, una convinzione, un’idea, ma una persona da frequentare: è Gesù, che ci rivela la verità di Dio e la nostra. Questa vita non è un dato biologico, ma è l’amore che Gesù stesso ci dona.
Nel turbamento del tempo presente, fidiamoci di Dio, facciamolo con Gesù, via, verità e vita. «Camminiamo su questa via! Amiamo questa verità! Viviamo questa vita!»[2] e, già su questa terra, faremo della nostra casa, la casa dell’amore di Dio.
[1] Antonietta Potente, La religiosità della vita. Una proposta alternativa per abitare la storia, ICONE, Roma, 2004
[2] Giovanni Paolo II nella visita pastorale alla Parrocchia di S. Maria Ausiliatrice al Tuscolano, 20 maggio 1984