Se avete a che fare con degli adolescenti allora sapete che anche i migliori fra loro hanno lati piuttosto spigolosi. Intanto hanno la tendenza a credersi il centro del mondo. E non vi fate ingannare dalle apparenze. Che passino tutto il giorno a farsi selfie, a lamentarsi di se stessi, della scuola, di voi, dell’ingrato destino, o che si rinchiudano in un mondo dove pochi eletti hanno accesso, sono tutte manifestazioni della loro sensazione di essere unici e soli.
Se si divertono, le loro risate coprono qualunque conversazione, cantano a squarciagola senza vergogna, dimenticano le categorie di orario, limite e ti prego andiamo non ce la faccio più.
Se si annoiano, invece, sembrano leoni marini eternamente spiaggiati, che barriscono alla sorte rotolandosi nella rena.
E tutto sommato è meglio quando si divertono.
Non so voi, ma se qualcuno mi proponesse un compagno di viaggio del genere, declinerei l’invito senza esitare un solo attimo. Se però questo compagno di viaggio è vostro figlio o vostra figlia, vi tocca decisamente abbozzare. Anche perché viaggiare con i propri figli, qualunque età abbiano, è un modo bellissimo di crescere insieme, e poterlo fare è una grande fortuna.
A me questa fortuna è capitata l’anno scorso, quando d’estate, complice il lavoro di mio marito, siamo stati due mesi negli Stati Uniti. Era il coast to coast che avevamo sempre desiderato (e immaginavamo di farlo con i ragazzi ancora prima che nascessero) anche se sui generis. Abbiamo toccato entrambe le coste, infatti, ma vivendo e fermandoci qua e là e facendo giri strani in mezzo, tra cui un viaggio itinerante con amici e figli di amici. Adolescenti, si intende. Ragazzini e ragazzine dai 14 ai 16 anni, con il contrappasso dei piccoli, 11 e 9 anni.
E’ stato bellissimo, lo giuro.
E mi è servito a riflettere su varie cose.
La prima è che quando vi suggeriscono di portarvi dietro dei loro coetanei hanno ragione. L’adolescente, anche il più timido e ritroso, anela alla compagnia dei suoi pari. Voi, per quanto splendidi e perfetti, non siete più sufficienti, fatevene una ragione..
Il fatto che loro si sentano il centro del mondo, non vuol dire che lo siano davvero, e tocca a voi farglielo capire prima che lo scoprano più dolorosamente sbattendo il muso su qualche porta respingente. Possono essere pigri, caciaroni, fastidiosi od ossessivi quanto vogliono, ma c’è un momento in cui devono accettare il fatto che si è in tanti e che ognuno abbia le proprie esigenze, pigrizie, follie e fissazioni. Bisogna porsi dei confini e anche porne agli altri. E piuttosto che arrivare al limite, o sentire di star rinunciando a qualcosa di importante (che sia il sonno o la visita ad un museo) meglio decidere di far qualcosa separati. La bellezza della loro età è che possono rimanere in albergo, fare un giro in un negozio o aspettarci da qualche parte anche da soli. D’altronde non chiedono sempre libertà, e un modo per provare che sanno cavarsela? A seconda dell’età, della situazione, dell’esperienza, lasciamoli andare. E anche noi, da soli, dobbiamo imparare a riprenderci piccoli spazi.
Si possono decidere insieme gli itinerari, le cose da vedere (lo so, a volte non collaborano, ma magari poi vi stupiscono con incredibili conoscenze quando meno ve lo aspettate) ma soprattutto ormai possono prendersi qualche responsabilità da veri viaggiatori. La custodia dei biglietti, l’acquisto del cibo, il ruolo di navigatore mentre si guida, la redazione del diario di bordo, sono dei facili punti di partenza. Mandarli a chiedere informazioni o domandare loro di verificare il gate di partenza dell’aereo li aiuterà non solo a praticare la lingua e a cavarsela la prima volta da soli, ma soprattutto a non farsi trasportare in giro come sacchi di patate.
E se malgrado tutto è proprio un sacco di patate quello che avete la sensazione di portarvi in giro, non disperate. Alla prima occasione, rigorosamente in compagnia dei loro amici, racconteranno di come si sono divertiti, di quante cose hanno visto e scoprirete che mentre vi sembravano inermi, lamentosi e disperati di noia, stavano crescendo e imparando.
Tratto da un articolo di Anna Lo Piano