Propositi ambiziosi per il 2020
di Costanza Miriano
Per questo 2020 che inizia ho un proposito molto ambizioso, che però credo si infrangerà sullo scoglio della mia umanità verso mezzanotte e quaranta, a meno che non riesca ad andare a letto prima, nel qual caso potrà resistere fino a domattina sul tardi, perché non parlo mai prima di avere preso due caffè. Vorrei imparare a controllare le mie parole. Come dice la lettera di Giacomo non è vero che quello che pensiamo condiziona quello che diciamo.
Molto spesso è vero anche il contrario. Spesso lasciamo che le parole partano senza troppo pensare – un pensiero solido organizzato, serio e non emotivo è una rarità – e lasciamo che vadano dietro al nostro mondo emotivo, e così diciamo con leggerezza cattiverie a volte anche inutili, spesso ingiuste, a volte anche giuste ma non necessarie. E piano piano le nostre parole modificano ciò che sentiamo, ciò che pensiamo, e infine come viviamo. Sembra un cambiamento da poco, ma è una leva potentissima per la nostra conversione. Non per niente abbiamo due barriere, i denti e le labbra, per cercare di frenare la voce. E non per niente abbiamo due orecchie, mentre di bocca una sola, perché dovremmo ascoltare più che parlare. Il silenzio, più spesso possibile.
Un silenzio che ascolta davvero gli altri: quante volte nelle conversazioni ci è capitato di notare di non essere ascoltati?
E quante volte anche noi forse parlando con qualcuno non avremo ascoltato. Io ho diverse amiche molto capiscione, come le chiamo io, cioè capaci di ascoltare davvero e di capire, ma sono una rarità, e non sono neppure sicura di essere capace di fare altrettanto per loro. Sembra un cambiamento da poco, ma non lo è. Una volta a un’omelia di un matrimonio il sacerdote si è raccomandato di non commentare la festa che sarebbe seguita: se i camerieri saranno in ritardo, se il riso sarà freddo, se l’invitata seduta vicino a noi antipatica. Non dite niente. Zero. Io lì per lì mi sono chiesta che senso avesse. Cioè, non parlare male dell’invitata posso anche capirlo.
Ma che male c’è a dire che il riso è freddo? Eppure è vero, è proprio cambiare lo sguardo, adottare un altro paradigma, cominciare a ringraziare per quello che c’è: c’è una festa, sono stata invitata, c’è del cibo e anche oggi posso mangiare, ho degli occhi per vederlo e le mani per portarlo alla bocca. Quando cominci a spegnere le mormorazioni e ad accendere questo sguardo – azionare l’App Occhi, marchioregistrato – cambia anche il cuore. Mi è capitato anche di notare che quando con un’amica ti lasci andare alle critiche a qualcuno (ovviamente per il suo bene, per carità), le critiche si autoalimentano. Ne trovi sempre di nuove, e altre persone a cui destinarle. Sparlare è uno sport di resistenza, e più sei allenato più ti riesce.
Il silenzio poi ci permette di ascoltare la voce di Dio. Silenzio dalle parole ascoltate, dette e scritte, come ha detto ieri il Papa, invitandoci a spegnere i telefonini (il problema per me è ricordare dove nascondo quelli dei miei figli, attendo un Angelus con consigli in merito).
Il silenzio dunque non è un valore in sé, io non sono buddista: il silenzio che cerco è per far parlare Dio. Spazio per lui. Spazio per ricordare la Sua Parola, ricordarla nel senso proprio etimologico di riportarla al cuore, osservarla, custodirla (che poi è stato il tema del capitolo generale del monastero Wi-Fi, e vorrei dire grazie a Dio per questa cosa meravigliosa che si è inventato in questo 2019 che finisce, con la complicità di una delle sue bionde preferite, Monica, e di tutta la squadra delle amiche, figli spintaneamente arruolati compresi).
Se riuscirò a fare un po’ di silenzio, il mio manifesto per il 2020 è: imparare il Padre Nostro. Non nel senso del testo, ovviamente, non sono ancora a quel punto anche se dimentico chiavi e auto parcheggiate e compleanni, e sto entrando in quella fase della vita in cui parlo sorridente con delle persone di cui ignoro totalmente l’identità (di solito mamme di compagni di classe, medici e vicini di casa, mentre con i confratelli del monastero wi-fi ho una grazia speciale, e memorizzo non so come vicende umane e nomi di figli e malattie). Comunque di solito me la cavo anche abbastanza bene, se non compare qualcuno che conosco e a cui dovrei presentare quella simpatica bionda con cui sto parlando da quattro minuti senza avere la minima idea di chi sia.
Il Padre Nostro lo voglio imparare nel senso di piantarmelo dentro al cuore, perché sono le uniche parole che Gesù ci ha raccomandato di dire, invitandoci a non sprecarne altre, inutili. Proprio mentre riflettevo su questo mi sono imbattuta in due libretti (etti per dimensioni) preziosi, di Santo Marcianò. Il primo ha un titolo folgorante, Signore, insegnaci a parlare, ed è una raccolta di meditazioni proprio sul Padre Nostro come vocabolario della preghiera e dell’amore.
Penso che se proviamo a fare nostra una parola per volta abbiamo da lavorare per tutto l’anno, a essere ottimisti. Forse per tutta la vita, se consideriamo che a volte san Francesco non riusciva ad andare oltre la prima parola, Padre, tanto lo commuoveva la scoperta di essere figlio di Dio. Quanto al nostro, quindi la comunione, come spiega il libro, ci sarebbe da lavorare davvero una vita.
E il cuore del Padre Nostro è quel “sia fatta la tua volontà” così difficile da dire a volte, ma così pacificante. E così davvero ribelle e coraggioso, così liberante come scrive monsignor Marcianò. Ma per dire davvero, ma davvero sia fatta la tua volontà ti devi convertire sul serio. A pagina 62:
“Che tutto diventi cielo! Traduce così un antico autore, Origene, il significato di questa domanda del padre Nostro. E aggiunge: La volontà di Dio si compia perché, per così dire, tutto si incieli e un giorno non ci sia terra, ma tutto sia cielo”.
E così, aggiungo io, diventa cielo quella moglie nervosa, quel marito musone, quei figli egoisti, quel cattivo umore che neanche noi sappiamo perché, quel lavoro che oggi piuttosto ti spareresti, quella torta da preparare. Sia fatta la tua volontà rende il cuore docile come quello di un infante, a cui tutti scelgono tutto, e lui si lascia fare certo dell’amore di quelle mani.
Se riesco a mantenere il proposito un po’ oltre la mattina del 1 gennaio, un altro effetto collaterale potrebbe essere quello di riscoprire il vero senso delle parole, e di questo si occupa l’altro libretto di cui parlavo, pensato per i giovani che a volte si vedono consegnate parole impoverite di senso, (penso per esempio a “love is love”): Parole sempre giovani cerca invece di riscoprire il senso di parole di uso comune, come per esempio amore, appunto.
È insomma un dizionario italiano italiano, per mettere alcuni punti fermi necessari come non mai (ogni volta che mi trovo a parlare con i ragazzi nelle scuole mi rendo conto della confusione che c’è sui fondamentali).
Ecco, dire meno parole, dire se possibile solo quelle buone (vale sempre la regola del mio amico Pippo Corigliano: se non puoi lodare, taci), ridare il senso alle parole, ascoltare Dio, osservare la Sua Parola, ascoltare di più chi mi è consegnato come compagno di cammino ogni giorno (con mio marito è facile, dice una parola al mese), imparare a pregare seriamente il Padre Nostro.
Io direi che fino al 2070 sto a posto. Ma solo perché nel caso avrei 100 anni. Più probabilmente sarò morta e allora magari starò zitta (così spera mio marito).
Fonte: costanzamiriano.com