Il corriere
Sentieri del Cinema
Un uomo anziano e solitario, trovandosi pieno di debiti accetta di fare il corriere per un pericoloso “cartello” di narcotrafficanti messicani
Earl Stone è un uomo, anziano ma ancora esuberante e affascinante, che vive per i suoi bellissimi fiori ornamentali, con i quali vince premi e gira gli Stati Uniti per convention e fiere (ma pure i ritrovi con l’associazione reduci di guerra), occasioni anche mondane che lo portano a trascurare la famiglia, fino a dimenticarsi persino del matrimonio della figlia. Lo rivediamo 12 anni dopo ed è tutto cambiato: la sua azienda floreale va a gambe all’aria (la concorrenza di chi vende su Internet è spietata), l’ex moglie e la figlia non lo vogliono vedere, solo la nipote (che sta per sposarsi) gli rivolge la parola e gli vuole ancora bene, nonostante tutto. Earl è sempre più solo, ma non gli pesa.
Piuttosto, trovandosi senza soldi e pieno di debiti, è costretto a lavorare ancora, per questo accetta un incarico apparentemente semplice: guidare l’auto, fare il corriere; per lui, che ama guidare e che a ottant’anni può dire di non aver preso mai una multa pur avendo girato per tutta l’America, non è così gravoso come impegno. Non sa cosa deve trasportare con il suo malandato furgone (che presto potrà cambiare), ma visto che le cose vanno bene gli incarichi aumentano, e pure la quantità di ogni carico… Tanto da potersi permettere soddisfazioni di vario tipo, e anche una generosità con vecchi amici e perfino con la famiglia tanto trascurata. Ma quello che trasporta non è merce normale, bensì la droga di un “cartello” messicano; e Earl diventa in fretta il corriere numero 1 – ignoto alle forze dell’ordine, e amato o detestato da piccoli e grandi sgherri dell’organizzazione criminale per le sue stravaganze – per volume di consegne e sostanziale affidabilità, nonostante le sue curiose “divagazioni” dai percorsi prestabiliti; anche perché il suo status di anziano lo rende poco sospettabile e quasi invisibile ai controlli. Ma il particolarissimo “lavoro” lo porta a finire sotto l’osservazione degli agenti dell’antinarcotici, in particolare dell’efficiente Colin Bates: il “gioco” può diventare molto rischioso per il vecchio Earl.
Clint Eastwood aveva promesso che non avrebbe più recitato, soprattutto in un suo film (era il protagonista del debole Di nuovo in gioco di Robert Lorenz, ruolo accettato per fare un favore al suo produttore che voleva cimentarsi con la regia): il suo vero passo d’addio sembrava Gran Torino. Addio ovviamente che non riguardava la regia, che alle soglie dei 90 anni lo vede ancora dietro la macchina da presa e soprattutto a studiare nuovi progetti. Il suo nuovo film Il corriere (in originale The Mule, ovvero “il mulo” come vengono chiamati in gergo i corrieri delle gang criminali) è basato sulla vera storia di un veterano di guerra (si chiamava Leo Sharp) che finì a fare il corriere della droga: un articolo del New York Times è stato il punto di partenza della sceneggiatura di Nick Schenk, lo stesso autore dello script di Gran Torino. Come il Walt Kowalski di quel gran film, anche Earl Stone è un uomo anziano solitario – ma meno irascibile, anzi spesso mansueto – e pieno di sensi di colpa e rimpianti, che, dopo aver pagato i debiti, con i soldi “sporchi” cerca di ricomprare l’affetto di una famiglia ormai lontana da lui.
Pur somigliando per alcuni versi a Gran Torino, Il corriere – The Mule è narrativamente meno scorrevole e accattivante: all’inizio sembra una rivisitazione di situazioni già viste e le vicende di Earl ci appassionano fino a un certo punto: non tanto per l’immoralità della sua condotta (all’inizio non sa cosa deve portare, ma lo intuisce; poi non resiste e sbircia il carico…), e per la dissolutezza della sua vita che il nuovo “lavoro” acuisce; quanto perché attorno a Eastwood episodi narrati e personaggi (i familiari, i trafficanti di droga – anche se c’è una piccola prova di classe di Andy Garcia – e anche i poliziotti guidati da Colin Bates, interpretato da Bradley Cooper) sono meno incisivi del previsto. Tutto gradevole e a tratti acuto, ma con una tensione che sembra crescere sempre ma non esplodere mai. Semmai, fin dall’inizio suscita ammirazione l’autorappresentazione del mitico Clint come un rottame umano, gobbo e pieno di acciacchi, rallentato e dallo sguardo meno ribaldo dei personaggi interpretati fino a dieci ani fa.
Poi, però, nella parte finale – e scusateci in anticipo se facessimo comprendere troppo: nel caso, fermatevi qui prima di vedere il film – certi temi sparsi qua e là si compongono in un epilogo semplice ma commovente (che giustifica il nostro massimo voto), in cui il tempo che passa, i dolori per i propri errori e il desiderio di rimediare almeno in parte fanno del film un umanissimo bilancio di una vita piena di fallimenti; eppure ancora riscattabile (e perdonabile) in extremis. E confermano Clint Eastwood come uno dei registi – americani e non – più capaci nel raccontare i sentimenti e i drammi della vita delle persone reali.
E se, come in Gran Torino, anche Il corriere è un film sulla solitudine in un’America in cui ognuno deve bastare a sé stesso, nel finale quel che colpisce è la lucida e quasi spietata ammissione di colpa di un uomo che ha fatto soffrire la moglie e trascurato la famiglia, troppo tardi compresa nel suo valore, per il lavoro e per le gratificazioni del mondo.
Un vincente ormai sconfitto cui risulta provvidenziale la caccia che gli dà un suo giovane alter ego, al quale potrà suggerire con grande e quasi straziante sincerità di non ripetere i propri errori per non rischiare di perdere sé stesso.
Un’ammissione che potrebbe essere anche autobiografica: sarà un caso che la figlia di Earl è interpretata da Alison Eastwood, figlia del vecchio Clint?