In un paesino romagnolo arriva una casa famiglia in uno storico palazzo: chi sono queste strane persone? Diffidenze e ostilità non mancheranno…
Solo cose belle. Anche se imperfette, complicate e forse irredimibili. Il primo film di Kristian Gianfreda, scritto da Andrea Valagussa, è una commedia leggera e autenticamente reale tratta dall’esperienza dell’associazione Papa Giovanni XXIII fondata nel 1968 da don Oreste Benzi e oggi presente in 42 nazioni, con ben 300 case famiglia solo in Italia.
Nell’entroterra romagnolo, in un paesino governato dal sindaco Corradini (Giorgio Borghetti) alle prese con le nuove elezioni comunali, arriva nel palazzo storico Corbucci (ambito da uno sponsor generoso e interessato) una famiglia allargata, per concessione di un’anziana vedova proprietaria dello stabile. Non ci sono genitori separati, in questa famiglia, ma ragazzi e adulti che non hanno vincoli parentali con la giovane coppia (Marco Brambini e Erica Zambelli) che ha un solo figlio naturale: c’è l’immigrato nero che parla solo in inglese, c’è un’ex ingenua prostituta che ha da poco partorito un figlio, c’è Ciccio, un ragazzo cinese con una grave disabilità motoria, e Marco, un adulto disabile (interpretati rispettivamente da Francesco Yang e Marco Berta, attori non professionisti che vivono in una delle strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII). E infine Kevin, un giovane ex carcerato che sta scontando la pena vivendo con loro. Questo mondo variopinto, allegro, sempre sereno si scontra con le regole non scritte del paesino romagnolo. Ciò che conta è la forma.
Lo è anche per Benedetta (Idamaria Recati), che ha sedici anni, poche e deludenti amicizie, ed è anche la figlia unica, forse troppo poco ascoltata dalla madre (Patrizia Bollini) e dal padre, ovvero il sindaco Corradini. Così quando è costretta ad avvicinarsi a Kevin (Luigi Navarra), succede qualcosa. Dentro e fuori di lei. Casa famiglia e paese, però, sembrano due microcosmi incapaci di legarsi, di capirsi, di accettarsi. O meglio il perbenismo provinciale non riesce ad accettare il “diverso”, che vede come un nemico e come un possibile attacco alla propria sicurezza. Pochi sembrano disposti a dare una mano, magari vincendo una naturale ritrosia, come un poliziotto buono e sovrappeso (Riccardo Trentadue) e un sacerdote burbero e concreto (Carlo Maria Rossi).
Presentato al Presidente della Repubblica e anche in Senato, Solo cose belle è un piccolo film “manifesto” centrato sull’importanza delle differenze, sulle paure e pregiudizi alimentati dalla cronaca quotidiana italiana e dalle dichiarazioni politiche contemporanee.
Non ha gli stratagemmi del dramma, non dissotterra i sentimenti che inducono alla pietà, non è indulgente con l’errore. E infatti nel finale, c’è spazio non solo per consapevolezze nuove ma anche per dolorose sconfitte, separazioni: pagine che si chiudono e pagine che si aprono.
Certo il film di Gianfreda si nutre a volte di cliché narrativi che forse funzionano meglio in una fiction televisiva (e certo non aiuta un trailer che sembra proporre solo una commediola di buoni sentimenti), ma Solo cose belle – al di là di alcuni difetti e di qualche personaggio meno definito – risulta alla fine un film convincente, in molti momenti divertente e a tratti anche commovente (senza sotterfugi o facili colpi bassi), capace di sottolineare il male nella nostra società, che si annida spesso in atteggiamenti protezionisti e poco genuini. Ma anche il bene, di cui a volte non riusciamo ad accorgerci: ma quando viene riconosciuto, la vita prende svolte inattese (bellissima la sequenza finale), che portano a un’imprevista, confusa, rivoluzionaria scelta di vita.