Di Giulia Terzi
“Ho visto, la gente della mia età andare via, lungo le strade che non portano mai a niente, cercare il sogno che conduce alla pazzia, nella ricerca di qualcosa che non trovano”.
Era il 1965 l’anno in cui Guccini scriveva queste parole, divenute poi tra le più popolari del cantautorato italiano. In un periodo di rivolte studentesche, cambiamenti globali, violenza e voglia di evasione, Francesco Guccini cerca di tradurre in musica una società che, agli occhi dei più giovani, stava cadendo a pezzi. Con questo tentativo nasce la sua celebre canzone Dio è morto.
Un Dio che non va più bene
Dio è morto apre la stagione della canzone di protesta italiana. L’Italia, come il mondo intero, stava entrando nel sentimento di protesta e ribellione giovanile. I giovani iniziavano a comprendere di vivere in una società fatta di contraddizioni: da una parte i grandi ideali proclamati e, dall’altra, la meschinità e l’ipocrisia (“Perchè è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera”).
Ecco allora che il “dio” di questa società non convinceva più: Dio era morto, o meglio, in qualche modo doveva morire. Guccini e i giovani, però, non si sono fermati qui. Non bastava solamente la morte di Dio per cambiare le cose, ma era necessaria la sua resurrezione, affinché si assistesse alla nascita di una nuova civiltà, la quale incarnasse ciò che Dio insegnava.
Oggi Dio dov’è?
Leggendo questo testo viene quasi spontaneo trasportarlo e adattarlo ai giorni nostri. Esso sembra descrivere esattamente la nostra “stanca civiltà”: una civiltà che sembra stremata dai suoi duemila anni. Così anche io vedo “la gente della mia età andare via”, sento dirmi che la mia generazione si è persa e non ha un valore su cui fondarsi e c’è un Dio che, all’apparenza, sembra essere morto, come quel giorno in cui, “chinato il capo, consegnò lo spirito”. Ecco però che, anche nella notte più buia, Lui è risorto, ha riportato la luce e ci ha fatto rinascere a vita nuova.
Anche Guccini, come tutti i suoi coetanei, questo lo sapeva e cercava di lottare per un mondo in cui questa nuova luce risplendesse: “Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”.
Un Dio che resuscita
Ecco allora che, anche oggi, in una società che sembra oppressa da se stessa, troviamo un Dio che risorge e che non ci abbandona. Il buio nel quale siamo prigionieri è in realtà ricco di piccoli bagliori. Penso alla piccola Greta Thunberg che, con un cartello, sta smuovendo le nuove generazioni per riprendersi il futuro. Guardo al giovane Simone, il “ragazzo di Torre Maura”, che ha sfidato CasaPound per ricordare che nessuno dev’essere lasciato indietro. Penso anche alla figura di Malala Yousafzai che, a 22 anni, sfida i talebani per donare un futuro alle donne pakistane.
Io ho sempre creduto che Dio non si mostri a noi con grandi effetti scenici, ma Egli si nasconda nelle piccole cose e, soprattutto, nelle persone. Ecco allora un Dio che sì, è morto, ma che continuamente risorge, anche oggi.
Viene allora spontaneo cantare tutti in coro quello che il giovane Guccini scriveva: “In ciò che noi crediamo, Dio è risorto. In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto. Nel mondo che faremo, Dio è risorto”.