Di Marco Pappalardo
Quale coinvolgimento dei giovani dopo il Sinodo?
“Ma dove li troviamo dei giovani in gamba che abbiano qualcosa di significativo da dirci?”.
Sono le parole di un sacerdote in risposta ad una mia proposta, circa 20 anni fa, quando facevo parte della Consulta di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana; stavamo organizzando un convegno nazionale, come quello che si è celebrato in questi giorni a Terrasini, e, alla ricerca di relatori, io proposi di individuare dei giovani sui temi pensati. Niente, proposta bocciata: tra diocesi, movimenti e associazioni – a quanto pare – non era possibile trovare qualcuno che avesse “qualcosa di significativo da dirci”. Pazienza, allora! Non potevo certo sapere che un papa, Francesco, avrebbe ascoltato un giorno il mio desiderio e indetto un Sinodo dei Vescovi sui giovani, invitandoli persino ad intervenire in occasione dei lavori.
È bello che ci siano cambiamenti nella Chiesa, punti fermi dai quali non tornare più indietro. Poi guardo con curiosità il programma del recente Convegno di Pastorale Giovanile, proprio ispirato al Sinodo, e, tra i relatori, solo adulti. Naturalmente scrivo senza aver partecipato, qualcuno dei presenti potrà smentirmi, ma tra gli interventi programmati non sono stati previsti tranne che io non abbia avuto tra le mani una brochure sbagliata.
Anche stavolta non avrebbero avuto niente da dire?
Non discuto sul valore dei contenuti proposti, sulla straordinarietà dei relatori invitati, sulla significatività dell’esperienza in sé, ma non è un po’ strano visto il cammino della Chiesa?
Nelle foto i giovani a Terrasini li abbiamo visti, infatti c’erano sia come partecipanti sia nell’organizzazione, e ciò non è mai mancato in simili iniziative. Anzi, quando ci sono i lavori di gruppo, vengono scelti loro per riportare gli esiti in assemblea; se c’è da animare la serata o musicalmente le celebrazioni, da leggere le letture della messa, da gestire la segreteria, si chiede ai gruppi giovanili. Peccato che siano tutte “cose da fare”, una sorta di spazio di manovalanza, un po’ come avviene nelle realtà locali o negli organismi di partecipazione ecclesiali, in cui gli adolescenti e i giovani sono per lo più meri esecutori di ciò che gli adulti decidono. Al massimo vengono coinvolti come collaboratori, vice o aiuto questo e quello. Quando gli si dà spazio, in diversi casi, si tratta di un’autonomia ridotta, di una libertà condizionata, di un protagonismo controllato a distanza.
La sensazione è che si guardi a loro sempre e solo come il futuro, dimenticandosi che non c’è futuro senza il presente. Una certezza è invece che da adulti li si guardi per come dovranno essere secondo i canoni dei grandi, quasi mai per l’unicità che sono ora alla luce di una chiamata personale.
Domani la Chiesa farà memoria di Domenico Savio, un santo adolescente, che Don Bosco non tenne conservato in una teca in attesa che la sua buona stoffa diventasse vecchia; nonostante la salute cagionevole, Domenico poté essere l’anima dell’oratorio, della scuola, dell’apostolato della carità, quel frutto già maturo agli occhi di Dio tanto da coglierlo anzitempo.
Certo noi non possiamo vedere come vede Dio o con gli occhi dei Santi “sarti”, tuttavia non mancano le testimonianze di ragazze e ragazzi sul cammino della santità nel quotidiano, abiti da non preservare con la naftalina in attesa di non si sa bene cosa, bensì da confezionare per quella sfida giornaliera che è la vita.