di Marco Pappalardo
Nelle scorse settimane ho avuto l’opportunità di parlare a gruppi di genitori sui temi del bullismo e del cyberbullismo insieme ad altri esperti e colleghi docenti.
Posto che il disagio riguarda sia la vittima che il bullo, è necessario affrontare le questioni in modo preventivo in famiglia, a scuola, nelle parrocchie e in tutte le agenzie educative.
Ciò che si semina di buono il prima possibile, si raccoglierà al momento giusto, diversamente il rischio è quello di dover poi agire in modo repressivo.
“L’aumento del bullismo, del vandalismo, del teppismo, dello stalking, dello sfruttamento sociale, del razzismo, dei femminicidi, dei parenticidi – afferma lo psicoterapeuta Tonino Solarino – hanno raggiunto livelli statistici impressionanti. Molti disturbi non hanno origine esclusivamente psicologica. Le variabili sociali e culturali giocano un grande ruolo nella diffusione dell’angoscia e della follia. Sono sicuramente molteplici i fattori sociali e culturali che determinano questo stato di cose. C’è un modellamento esplicito alla violenza e c’è un modello educativo implicito che, inconsapevolmente, abbiamo fatto nostro”.
Basti pensare al linguaggio violento di politici e personaggi vari che occupano gli schermi televisivi a tutte le ore.
Basti pensare a quanti omicidi, sangue e morti virtuali vedono i bambini e i ragazzi prima della maggiore età tra internet e videogames.
Ma c’è di più?
“Meno scontata – riprende Solarino – è la consapevolezza che noi genitori, più o meno implicitamente, proponiamo un modello educativo foriero di violenza. Educhiamo, infatti, i nostri ragazzi a diffidare, a proteggersi, a contrapporsi agli altri perché concorrenti e potenziali nemici. Li educhiamo ad affermarsi a danno di chiunque. Li educhiamo a competere più di quanto non li educhiamo a cooperare. L’opportunismo, l’utilitarismo, l’individualismo sono i pilastri dell’ideologia imperante che trasferiamo nell’educazione e che contribuiamo a promuovere”.
Esempi lampanti e allucinanti sono certi adulti in occasione delle gare sportive dei figli, ma anche alcuni allenatori, che nondimeno sono educatori, non brillano per equilibrio, onestà e correttezza nelle parole e nelle azioni.
“Con queste premesse è difficile imparare ad incontrarsi – secondo la docente Rosaria Perricone – a riconoscere l’altro come risorsa, ad educare alla reciprocità e ad una vita buona per sé e per gli altri. È più facile vedere il prossimo come un problema, un ostacolo, una minaccia. Diventa complicato anche desiderare la vita se alla fine diventa una gara infinita, un’arena per gladiatori, una giungla dove si salvi chi può. Un esito probabile piuttosto che desiderare la vita diventa violentarla”.
La scuola e le classi – senza distinzione tra realtà di periferia o del centro – possono essere un laboratorio per costruire un clima sereno, promuovente, collaborativo oppure rischiare tutto il contrario quando da docenti facciamo notare troppo chi è bravo e chi no, chi sarà qualcuno nella vita e chi il nulla, favorendo un gioco al massacro per i voti, purtroppo girandoci dall’altro lato a volte dinanzi ai primi segnali – seppure sottobanco – di violenza verbale e discriminazione.
“La sfida – riprende Perricone – è educarci ed educare ad essere forti e ad essere insieme; imparare ad autoaffermarsi e a realizzarsi con gli altri. C’è da costruire un futuro dove l’altro sia speranza e non minaccia. In questa fase storica non è facile, ma è l’orizzonte razionale dove collocare il nostro impegno educativo”.