Da una vita di eccessi all’«imprevisto» di doversi prendere cura del fratello
di Gianluca Bernardini per sdcmilano.it
Capita che nella vita mentre stai per andare a mille un imprevisto ti colpisce quando meno te l’aspetti, come un pesce (!), per esempio, mollato da un gabbiamo in volo sui tetti di Roma che ti arriva dritto in volto macchiandoti di sangue (un segno?).
È quello che succede a Matteo (un credibile Riccardo Scamarcio) mentre litiga con il fratello Ettore (Valerio Mastandrea), ospite ammalato, sul terrazzo della sua splendida casa.
Sono passati anni da quando i due fratelli si sono allontanati. Ettore, insegnante, è rimasto a Nepi accanto alla madre e alla sua famiglia, nonostante la separazione dalla moglie. Matteo, invece, ha fatto carriera come imprenditore, omosessuale dichiarato, sfoggia una vita di eccessi su tutti i fronti (un cliché).
I due loro mondi sembrano così lontani finché un cancro colpisce Ettore e ogni distanza sembra essere superata. Matteo inizia così a prendersi cura del fratello, fino a nascondere a lui e ai loro cari la verità. Per amore, per un senso di protezione o forse per non accettazione di questo grande dolore che sembra prendere il sopravvento su tutto.
Sarà dunque la malattia, sempre rivelatrice dei nostri limiti e della precarietà della condizione umana, a farli, nonostante tutto, ritrovare. Valeria Golino, per la seconda volta alla regia dopo «Miele» (2013), con «Euforia», presentato a Cannes, mette in scena con una certa maestria e profondità la «transitorietà» della nostra esistenza.
Arriva persino a toccare il tema della fede come «ultima possibilità» per ottenere un miracolo (una critica?). Ciò che colpisce però, alla fine, è quello che resta e che difficilmente si può descrivere a parole. Quello che solo due fratelli possono, in fondo, provare quando si rischia definitivamente di perdersi. Qui, allora, non si toccano solo le corde del cuore, ma in fondo quelle della vita. La stessa che tutti ci accomuna.