Perché la collega professoressa ferita da un alunno con un coltello ha perdonato il ragazzo? Perché ha così tanta voglia di rientrare in aula con le sue classi? Perché considera gli studenti come figli?
Queste domande, trasformate in affermazioni e quindi in scelte di vita e professionali, sono la vera notizia una volta superata la vicenda. Una storia triste che viene illuminata dal fatto educativo che ci fa dire che “chi ama, educa” e che, amando, ci si ferisce tanto, come insegna la vita! Pochi giorni prima, invece, la notizia che teneva banco era l’intervento del Ministro Fedeli sull’inopportunità di un “rapporto di amicalità” tra docenti e studenti fino a minacciare la possibilità del licenziamento. E allora, la prof. che “ama gli studenti come i propri figli” potrebbe sulla parola essere licenziata dal Ministro? Non ha forse superato il limite?
Altro che “amicizia”, persino “maternità e paternità”! Se dei limiti sono stati superati, da un lato sono quelli – relativamente alla collega che ha perdonato – che con il teologo Bernardo di Chiaravalle potremmo definire della “misura dell’amore”, cioè “amare senza misura”; limiti che, tutte le volte che sono oltrepassati, possono solo essere positivi nella relazione educativa. Strette in angusti confini e senza respiro sono al contrario quelle affermazioni della Fedeli e ciò sotto vari punti di vista: la storia ci insegna che ogni grande realizzazione nasce dai sentimenti, senza quell’anelito tutto è sterile; la cultura ci trasmette il racconto di grandi amicizie tra discepoli e maestri nel campo di tutte le discipline, da molte delle quali sono nate opere d’arte; gli affetti non si definiscono a tavolino, nascono e basta da sempre, e dunque nessuna regola o minaccia può evitarli; l’asetticità in campo educativo non esiste, poiché si tratta di un incontro di anime, e l’unica alternativa è avere al posto del prof. un computer che tenga la lezione; l’amicizia è qualcosa di bello e unico, pure a scuola e persino tra docenti e studenti, perciò è inopportuno far passare l’idea che è pericoloso il prof. che ti chiama per nome e non per cognome, che ti dà una pacca sulla spalla per incoraggiarti, che ti abbraccia se piangi, che ti bacia sulla guancia nel giorno del compleanno, che ti scrive su un social per sapere come stai dopo giorni di assenza, che ti sorride quando fai una battuta simpatica, che si complimenta per un tuo successo.
Andrebbero lodati i docenti che alla straordinaria conoscenza della materia uniscono un’altrettanta straordinaria conoscenza del cuore umano!
Non si mettono in discussione gli orrori compiuti da chi non merita neanche di essere definito insegnante, usando la propria posizione per beceri scopi personali, abusando di minori, circuendo gli alunni per i propri piaceri sessuali; tali comportamenti ed azioni vanno chiamati e denunziati con il proprio nome, così come il male va definito senza giri di parole: quegli atteggiamenti, e il Ministro dovrebbe ricordarselo, non hanno nulla a che fare con l’amicizia; quegli aguzzini avranno forse il titolo di docente, ma in nessun aspetto lo sono davvero. La prof. che perdona ci insegna, nonostante i segni visibili sul suo volto e il dolore, che ogni ferita può essere trasformata in feritoia, da cui passa la luce e non più il sangue, e questo lo si può capire solo stando ore e ore su quel bel campo che la scuola, non attraverso qualche visita istituzionale ben organizzata; e tutto ciò è possibile solamente dentro una vera e trasparente amicizia educativa!
Marco Pappalardo