A Tonadico sulle Dolomiti di Brenta la difficoltà di una bambina diventa un’opportunità:
le maestre insegnano a tutti le basi della lingua dei segni per comunicare con la compagna sorda.
Julia sta colorando una motocicletta. Serena la guarda, poi si rigira una mano tra i capelli e con l’altra mima una moto muovendo la mano come fosse l’acceleratore. Julia annuisce divertita, così Serena va a chiamare Mirko, il bimbo ricciolino a cui piacciono tanto le moto. Julia non può né parlare né sentire perché è sordomuta dalla nascita ma con i suoi coetanei si capisce al volo.
Questo è possibile perché le maestre del suo asilo hanno insegnato a tutta la scuola le basi della lingua italiana dei segni. Quasi come fosse una seconda lingua.
Si potrebbe stare ore a osservare questi bambini che urlano e schiamazzano e che, non appena si avvicinano a Julia, si calmano e sfoderano gesti e sorrisi per comunicare con la compagna.
E dire che i genitori erano preoccupatissimi per l’accoglienza che l’asilo avrebbe riservato alla figlia. «Per qualche settimana all’anno Julia frequenta una scuola per l’infanzia a Roma, specializzata nell’insegnamento ai sordomuti. Ma qui a Tonadico si trova benissimo, la scuola è stata molto attenta ai suoi bisogni», dice la mamma Laura. Siamo in un piccolo paese di 1.500 abitanti arrampicato sulle Dolomiti di Brenta, ai confini tra il Trentino e il Veneto.
La comunità si attiva
Fino a qualche anno fa, in tutta la comunità del Primiero, non viveva nessun sordo. Poi è nata Julia e oggi mezza valle conosce almeno le basi della lingua italiana dei segni. Merito della determinazione delle insegnanti della scuola per l’infanzia che hanno saputo trasformare le difficoltà di Julia in un’opportunità di crescita per tutti gli altri. Grazie a loro adesso questi bambini riescono a comunicare così bene.
«Sono i bambini e la famiglie ad essere stati straordinari» sorride la coordinatrice della scuola per l’infanzia di Tonadico, Daniela Dalcastagnè che ha reinventato tutta l’organizzazione della scuola per far sentire Julia meno sola. «Abbiamo insegnato ai bambini e al personale le basi della lingua italiana dei segni e i bambini hanno subito colto che esistono altre modalità di esprimersi oltre alle parole», spiega Monica Capiotto, la facilitatrice che affianca Julia da quando è entrata alla scuola materna. «Monica era presente solo 25 ore a settimana quindi, fin da subito, abbiamo coinvolto tutto il personale in un percorso di formazione.
Le collaboratrici pedagogiche ma anche le cuoche hanno imparato ad esprimersi con i segni. Poi – racconta Dalcastagnè – è iniziato il lavoro con i bambini che in tutto sono una quarantina. Ognuno si è scelto un segno nome.
Fonte: Corriere Buone Notizie