Finalmente la riflessione culturale sta aprendo gli occhi sui pericoli delle fake news (le notizie false!!!) che sono come le mine nel campo della democrazia.
Sono come gocce velenose che affondano le loro radici nella Rete e stanno inquinando l’acqua buona. In più intrappolano i fruitori delle notizie in un “eterno presente” senza memoria. Non sembra vero, appunto sembrerebbe una fake news, eppure è verissimo! Rischiamo di credere più al falso che al vero, a ciò che è accaduto.
Un giornalismo spesso inadempiente della sua missio che è quella di costruire servizio pubblico e far crescere un’opinione pubblica fondata sui principi democratici, ma anche una serie di comunicatori che si improvvisano giornalisti. E lo fanno male. Anzi dicono il falso. Poi gli interessi degli investitori: più clik ricevono nei siti dove la gente è intrappolata dalle notizie false, più investono.
Un contesto cambiato
È la complessità dei numeri a dimostrare cosa è cambiato: ogni giorno vengono spedite 300 miliardi di mail, 25 miliardi di sms; 500 milioni di foto, si producono 10 alla 21° bytes, l’equivalente di 321 miliardi di volte «Guerra e Pace» (Fonte Rasetti). Ma c’è di più. La quantità di informazione che è stata generata dall’inizio dell’umanità fino al 2003 (immagini, foto, musica, testi ecc.), — ha affermato uno dei responsabili di Google —, viene oggi riprodotta nell’arco di sole 48 ore. È in mezzo a questa valanga di dati e nel rinchiudersi nei social network in gruppi in cui tutti la pensavo allo stesso modo che attecchisce la cultura della post-verità nell’opinione pubblica. Lontana dai fatti. Nutrita da emozioni e da credenze. Con un fine chiaro: alimentare le paure e consolidare le identità. È il linguaggio utilizzato dai populismi in cui l’idea (astratta), una sorta di “spirito puro” di matrice hegeliana, è superiore a qualsiasi fatto (concreto).
Insomma siamo immersi in una cultura che istiga alla violenza (hate speech), “iniettare” sospetto sui fatti, inventare le bufale (fake news).
Il siero per contrastarle sono anzitutto la testimonianza e, solo dopo, la capacità di dare buone notizie. Quelle che difendono la vita, rispettino il dolore, costruiscano bene comune. Il giornalismo (anche ecclesiale) deve aiutarsi a correggersi, rettificarsi e scusarsi; vietare le forme di pubblicità occulta; liberarsi dall’essere megafono servile della potente di turno.
Il problema rimane quello della veridicità delle fonti e della loro reperibilità. Ma la verità dei fatti è soprattutto questione di sguardi e di linguaggio. È «saper vedere ciò che altri non vedono, mettere in rete ciò che altri scartano, essere sale e lievito che non addormenta, ma aiuta conoscenza e trasformazione»[1]. Niente di nuovo, si potrebbe obiettare; compresa la premessa dell’attuale direttore di Tv2000: «raccontare la realtà e parlare chiaro come dovere etico», e la conclusione: «siamo chiamati a capovolgere il punto di vista, recuperando magari il linguaggio dei bambini». Tuttavia, certe affermazioni dei protagonisti dell’informazione possono essere di aiuto, specie se sono metabolizzate e fatte diventare prassi.
L’impegno del giornalismo
Si vede solo ciò che si conosce interiormente nel profondo della propria coscienza. Il Papa lo ribadisce: “La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?”.
Quasi un secolo fa il giornalista era stato definito da Joseph Pulitzer: «La vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato». Ci chiediamo: è ancora così?
Nel tempo della post-verità la genesi della notizia è radicalmente cambiata. Fino ad una decina di anni fa la notizia si dava attraverso sette tappe: a) reperimento, b) verifica, c) selezione, d) gerarchizzazione, e) interpretazione e contestualizzazione, f) commento e presentazione al pubblico, ne è la causa. Quello che rimane oggi sono i momenti dell’interpretazione e della contestualizzazione. Su questi due passaggi passa il rilancio di un giornalismo di qualità e delle notizie buone.
Certo la deontologia va rispettata. Il suo significato non è un concetto statico, ma cambia nel tempo includendo i contenuti e le forme della comunicazione che generano nuove esperienze comunicative. Occorre investire molto in cultura e parlare alle intelligenze e non alla pancia. Invertire la regola delle cinque “S” che impone di parlare di sesso, soldi, sangue, spettacolo e sport per fare audience. Prepararsi con rigore sui temi caldi dell’agenda politica che toccano la convivenza civile stessa: l’antropologia post-umanista, il rapporto tra laicità e l’islam e il rapporto tra diritto di espressione e diritti soggettivi, l’integrazione, la costruzione della cittadinanza europea, la difesa della dignità della persona, ecc.
Rimane dunque l’impegno quotidiano delle persone libere spiritualmente che si sforzano di comunicare bene il bene, confortate dalle parole di Francesco: “Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza”.
7 suggerimenti per non cadere nella trappola
L’Ethical Journalism Network ha stilato sette suggerimenti per arginare le fake news: verificare le notizie utilizzando siti di fact-checking, che permettono un doppio controllo delle notizie . È utile fare attenzione a siti che hanno nomi strani o domini rari che terminano con «com.co»: sono spesso versioni finte di reali siti di notizie. Ulteriori garanzie sono: controllare la pagina «Chi siamo» e prestare attenzione alle storie che non vengono riportate altrove. Un evento che fa notizia deve avere altre fonti. Quando una notizia non è firmata e non ha alcuna fonte, bisogna insospettirsi. Gli ultimi due accorgimenti sono controllare la data — una pratica dei creatori di fake news è prendere vecchie notizie e rilanciarle — ma allo stesso tempo essere attenti a non confondere una notizia falsa con una satirica, che utilizza parodie di contenuti editoriali veri.
[1]. P. Ruffini, «Tra forza e libertà. Impressioni di una professione», in Desk 23 (2016).
Ecco un mio approfondimento su WeCa: https://youtu.be/LG0aPvUHtYY
di Francesco Occhetta
fonte: www.francescoocchetta.it