«Pilato, Erode, Barabba, il popolo che grida “crocifiggilo”: persone di altri tempi, non siamo certo noi!
Noi non condanniamo a morte con il pregiudizio, con una faccia davanti ed una di dietro, con l’indifferenza, con il disinteresse, con l’emarginazione dai gruppi sociali, con i commenti sgradevoli su internet, con il fare tutto noi perché l’altro non sa farlo o chissà che combinerà.
Ci nascondiamo dietro il vano potere di alcune posizioni raggiunte, come quello di Pilato o di Erode.
Ci adagiamo dietro chi grida più forte nei discorsi in famiglia, nella comunità, sui social, ma è solo l’eco di un vuoto interiore; stiamo comodi dietro il Barabba di turno, poiché è sempre meglio la mia idea chiaramente sbagliata che quella dell’altro palesemente giusta.
Siamo giudici severi di tutti tranne che di noi stessi; abbiamo la forza del branco ma non il coraggio di andare controcorrente.
E Gesù sta lì, oggi come allora, ed è un nostro familiare poco amato, un vicino trascurato, un amico allontanato, un collega o compagno emarginato, un concittadino della periferia, un anziano brontolone, uno studente che non riesce, un giovane sfigato, una persona disabile, migrante, chi chiede qualcosa al semaforo, chi vende le rose tra i tavoli del ristorante…».
Queste riflessioni, parte di un commento alla V Stazione della Via Crucis che si celebrava nei cortili dell’oratorio, sono state interrotte da un grido proveniente da un palazzo vicino all’istituto, un grido che era una chiara bestemmia!
Sul momento ci si è rivolti tutti verso quel coretto improvvisato, che si è subito nascosto dietro il buio della sera; poi tutto è ripreso normalmente ma lasciando cosa nel cuore ai partecipanti?
C’è chi ha pensato “fino a che punto arriva la gente”; c’è chi invece si è sentito offeso; c’è chi ha cominciato a pregare più intensamente; c’è chi l’ha ritenuta una goliardata eccessiva oppure un modo per dire che era infastidito dall’eco delle riflessioni e delle preghiere che superavano i confini dell’oratorio. Tutto può essere, però che tempismo, che senso della realtà!
La Via Crucis è normalmente una pia devozione, spesso chiusa nelle chiese, altre volte grandiosamente rappresentata all’esterno; nell’uno e nell’altro caso tutto è preparato e abbastanza ripetitivo. Eppure la strada percorsa da Gesù verso il Calvario era tutt’altro che pia, tutt’altro che una messa in scena; quanti insulti Gesù ha subito, quali bestemmie sono la tortura e la crocifissione di un uomo a prescindere dal fatto che fosse il figlio di Dio!
Insomma, il coretto del palazzo accanto all’istituto, inconsapevolmente ha reso il nostro momento più vero, ha partecipato paradossalmente quanto noi, non meno di chi a Gerusalemme non versava lacrime bensì si godeva lo spettacolo e chissà quali epiteti indirizzava ai condannati a morte.
Così la bestemmia entra in una celebrazione, in un momento di preghiera, tra le stazioni della Via Crucis.
Irrompe sgradita e volgare, togliendo tuttavia il velo di un certo buonismo e pietismo che a volte permeano queste occasioni, riportandoci con i piedi per terra e ricordandoci che Gesù allora di preghiere, quasi certamente, ne ascoltava davvero poche lungo la via, molti di più gli insulti.
In fondo, fuori dalle pratiche devozionali e dalle sacre rappresentazioni, nei luoghi ordinari della nostra vita, non è forse lo stesso? Non è tra le bestemmie, sia parole che azioni, che cerchiamo di portare la nostra croce nel quotidiano? Non è che qualche volta ci cadiamo pure noi e le nostre invocazioni, nei confronti di alcune persone, vicine o lontane, familiari o sconosciute, benestanti e povere, si trasformano in bestemmie contro la vita e in “crocifiggilo”?