Suonerà a Milano un rapper che fa vera letteratura, meglio di quell’Ariosto che li costringo a studiare.
Guido io perché sono l’unico con la patente. Stasera alcuni studenti mi hanno invitato a un concerto, dicono che suonerà a Milano un rapper che fa vera letteratura, meglio di quell’Ariosto che li costringo a studiare.
Sbadigliando, parcheggio all’ora in cui sono solito andare a dormire. Entriamo nel centro sociale stracolmo. I miei accompagnatori riconoscono degli amici, io mi faccio da parte perché possano parlarsi senza un vecchio professore che li fissa. Faccio fatica a orientarmi per il fumo, mi comporto da falena con la luce di un proiettore: mi piazzo davanti a un crudo film in bianco e nero senza audio. Mi diverto ad osservare le persone: un ragazzino con la cresta sprofondato nella poltrona accanto a me, un trio di biondine con i pantaloni turchi che si rubano la parola, aspiranti contestatori che disquisiscono sui contenuti di un volantino. Nessuno guarda il cellulare, tutti sono comunque intenti a comunicare.
Ripenso ai manichini assonnati che cerco di rianimare sui banchi, il lunedì mattina. Sospetto che la letteratura sia destinata a scomparire anche per colpa delle mie lezioni: la confino nell’algida riserva delle pagine dei manuali, costringo le poesie ad accoppiarsi tra loro, impoverendone i geni. Non è vero che ai ragazzi non importano le rime; quello che non sappiamo è che se le vanno a cercare da soli, nel buio, dove noi non le possiamo parafrasare.
Finalmente mi è chiaro: vita e letteratura sono una sola materia, che nasce spontaneamente per parto gemellare, senza le chiose del Contini, né le schede di comprensione. Così hanno fatto gli autori: prima di calibrare le figure retoriche, hanno scavato tra i cumuli delle parole, per trovare qualcosa per cui valesse la pena esaltarsi o addirittura morire.
Bussano sulla mia spalla. Mi sono venuti a cercare: “Bella prof. Venga, scendiamo. Il concerto sta per iniziare”. Non so come, ma questa serata troverà un posto nella mia programmazione. E guai a Carducci e D’annunzio, se la guarderanno male.
di Emanuele Fant per Credere