La vittoria è del politically correct in un’edizione dove non sono mancate le sorprese
L’89a edizione degli Oscar poteva scrivere la storia del cinema incoronando La La Land (dopo le 14 nomination e i 7 Golden Globe vinti) come uno dei film con più vittorie nella storia del cinema, al pari di Titanic, Ben-Hur e Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re, o addirittura di più con 12 statuette. E invece rimarrà nella storia per l’epic fail conclusivo e la scelta di virare sul politically correct che ha sempre contraddistinto l’Academy, forse quest’anno un po’ troppo.
Iniziamo con ordine: dopo un Red Carpet piuttosto deludente che ha visto brillare solamente tre attrici a mio avviso (Emma Stone, strepitosa in un Givenchy dorato che a suo modo strizzava l’occhio al film per cui l’attrice si presentava, Viola Davis, regale in un Armani rosso che ne esaltava la bellezza, e Brie Larson, vincitrice l’anno scorso per Room, avvolta in un suntuoso abito nero), si comincia in grande stile con il numero musicale di Justin Timberlake che ha fatto ballare l’intero Dolby Theatre.
A questo punto entra Jimmy Kimmel, il mattatore della serata, che comincia con un monologo brillante, ovviamente con un pizzico di polemica nei confronti di Donald Trump. L’argomento politico, però, è stato molto ben gestito lungo tutta la grande notte in modo umoristico e senza risultare mai pesante (al contrario del Chris Rock dell’anno scorso!).
Standing ovation per Meryl Streep, su invito proprio di Kimmel come risposta a “è sopravvalutata” di Trump, per l’appunto. Poi si comincia, e il primo Oscar va, come da copione, a Mahershala Ali come miglior attore non protagonista. Ma già dal secondo premio (migliori costumi, sulla carta vinto in partenza da La La Land, andato invece inaspettatamente alla veterana Colleen Atwood per Animali Fantastici) si capisce che per La La Land non andrà come previsto.
E infatti è La Battaglia di Hacksaw Ridge a rubare due premi che spettavano di diritto al film di Damien Chazelle: sound mixing (storicamente sempre vinto dai musical, a buon diritto!) e montaggio (concordo con quanto detto da Gianni Canova, commentatore della grande notte su Sky Cinema Oscar: se c’era un film che meritava l’Oscar per il montaggio, quello era La La Land). Ma questi tre non sono i soli premi che il musical perderà: mancano all’appello anche sound editing (Arrival) e miglior film (Moonlight), sul quale mi pronuncerò più avanti. Perde anche miglior sceneggiatura originale e miglior attore in favore di Manchester By the Sea, ma questo lo si sapeva già. Comunque La La Land è il film che torna a casa avendo conquistato più statuette di tutti gli altri titoli, 6 Oscar come miglior regia (sancendo il record come il più giovane regista nella storia a vincere l’ambito premio), miglior attrice protagonista – Emma Stone, fotografia, scenografie, colonna sonora e canzone – “City of Stars”. Non male, ma discreto flop rispetto a quanto ci si aspettava. “And the Oscar for the Best Picture goes to…
La La Land. Anzi no – non è uno scherzo, il vincitore è Moonlight!” Questo è sicuramente il momento più chiacchierato della Notte degli Oscar 2017, l’epic fail che ha ingannato tutti quegli spettatori e scommettitori (oltre ai poveri produttori che hanno letteralmente sfiorato la vittoria) che davano La La Land come vincente. Ma oltre a chiedersi come è potuto accadere lo scambio di buste (il presentatore si è ritrovato con in mano la busta per la miglior attrice anziché quella per miglior film, annunciando comunque come vincitore La La Land…), chiediamoci come abbia fatto Moonlight a trionfare. Sicuramente è un bel film e sicuramente il discorso che sto per fare non ha niente a che fare con discriminazioni di alcun tipo, sia ben chiaro. Ma Moonlight deve la sua vittoria alla polemica scatenatasi l’anno scorso (#OscarsSoWhite) perché non c’erano candidature per gli afroamericani. Quest’anno le candidature e le vittorie sono state molto più alte per gli artisti di colore e l’Academy ha infine deciso di sottolineare ancora di più la propria “apertura” (?) incoronando vincitore un film che ha un cast all-black e che tratta di tematiche LGBT, lanciando anche così l’ennesima frecciata al neo-presidente Trump.
Pubblico e critica continuano ad ogni modo ad acclamare La La Land, quindi questo è un po’ quello che sembra essere il quadro generale – non solo una mia opinione: l’Academy non ha incoronato il miglior film in quanto qualitativamente migliore, ma quello che era politicamente più “corretto” che vincesse – Moonlight è bellissimo, dice la critica, ma non da miglior film. Miglior film spettava di diritto a La La Land per la messa in scena, la cura magistrale dei dettagli e delle interpretazioni, la fusione tra musica e parlato, realtà e finzione, sogni e disincanto e tanti tanti omaggi al cinema del passato. Finale shock, forse – per l’appunto – davvero troppo politically correct come dicevo all’inizio, ma il film che farà storia resta La La Land, a parere quasi unanime.
Altra sottolineatura politica anti-Trump è stata la vittoria di Asgard Farhadi (siriano) per The Salesman come miglior film straniero. Il cineasta non è potuto essere presente alla cerimonia per via del bando di Trump contro l’immigrazione. Ma bando alla politica (e alla polemica) e finiamo di guardare le premiazioni. Statuetta italiana per il makeup di Suicide Squad e finalmente la vittoria forse più meritata dell’intera serata: Viola Davis come miglior attrice non protagonista per Barriere. Attrice strepitosa e talentuosa, Viola Davis ha commosso tutto il pubblico con un discorso davvero commovente. “Sono diventata un’artista, e grazie a Dio l’ho fatto, perché la nostra è la sola professione che celebra che cosa significa dare un senso alla vita” ha detto dopo aver ringraziato la sua famiglia e il suo partner sullo schermo Denzel Washington.
Sempre parlando di discorsi “Un momento come questo è un’enorme confluenza di fortuna e opportunità” ha detto invece l’emozionatissima Emma Stone, “Questo premio è dedicato a tutti quei bambini che cantano sotto la pioggia e a tutte le mamme che glielo lasciano fare” è stato il commento del vincitore per la miglior canzone (City of Stars). “(Il recitare, ndr) non riguarda te, riguarda il personaggio” ha dichiarato invece Mahershala Ali. Tra le maestose e assolutamente magnifiche scenografie del Dolby Theatre, Jimmy Kimmel è stato – a mio avviso – il miglior presentatore degli Oscar degli ultimi anni (dopo la perfetta Ellen DeGeneres).
Ottimi i siparietti con Matt Damon (su tutti il mio preferito è stato quello dell’interruzione della presentazione di Damon con Kimmel che dirigeva l’orchestra), i tweet in diretta a Donald Trump (#SalutiDaMeryl) e la pioggia di caramelle. Letteralmente. Il gesto rimandava in qualche modo alle pizze fatte girare per l’appunto dalla citata Ellen: Kimmel a un certo punto della serata ha detto qualcosa tipo “Hey! Volete delle caramelle? Perché no, al cinema si mangiano anche dolci e allora facciamo entrare le caramelle!” e dal soffitto del Dolby Theatre sono letteralmente atterrati milioni di sacchetti bianchi con una specie di piccolo paracadute, ognuno contenente una manciata di caramelle di diverso tipo. Kimmel ha anche saputo gestire direi molto bene (e anche ironicamente) l’epic fail della consegna del premio come miglior film, di cui ho già detto.
Forse mi sono già dilungato sin troppo, ma questa edizione è stata piuttosto ricca di sorprese, come oramai avrete ben capito anche se non avete seguito l’intera cerimonia. 3 Oscar (su 8) a Moonlight e 6 (su 14) a La La Land che, ne sono certo e non mi stancherò di ripeterlo, diverrà un cult e sarà ricordato per molto tempo ancora. Forse più di tutti gli altri candidati.