A meno di un mese dalla chiusura di tutte queste Porte di Misericordia possiamo dire di aver misericordiato?
Non è un errore di battitura ma una espressione coniata da Papa Bergoglio, che rientra già in quello che viene denominato “bergoglismo” cioè un neologismo capace di farci comprendere la dimensione concreta della misericordia, intesa cioè come qualcosa da “fare”.
Il prossimo 20 novembre si chiuderà il Giubileo della Misericordia, ma un giubileo che si chiude, non è un sipario che si tira sul palcoscenico del mondo e dell’umanità.
Per il giubileo vale quanto Papa Francesco ha detto alla conclusione della GMG. Ai giovani radunati per la Santa Messa dice che La GMG, comincia oggi e continua domani, a casa, perché è lì che Gesù vuole incontrarti d’ora in poi. Così è per questo anno della misericordia, che ci ha permesso di aprire gli occhi e ancor più il cuore su cosa sia effettivamente la misericordia e su quanto essa non sia una pia esortazione ma uno stile di vita; uno modo di concepire il mondo e la storia. Altra grande intuizione di Papa Francesco, certamente dono dello Spirito è stata la volontà di aprire tante porte sante sparse per il mondo. Si sono così spalancate porte di misericordia su luoghi geografici, istituzionali e del cuore. Prima porta, fra tute sulla povertà e la guerra di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana.
E poi via via in altre città, in altre diocesi, passando per i luoghi della sofferenza quali gli ospedali e della pena quali le carceri. Alla fine pare siano state aperte più di diecimila porte sante, compresa quella apre sotto una tenda nel campo profughi dei cristiani fuggiti davanti all’Isis ad Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.
La prima porta santa si è spalancata sulla miseria e la guerra di Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana.
A meno di un mese dalla chiusura di tutte queste Porte di Misericordia possiamo dire di aver misericordiato?
Non è un errore di battitura ma una espressione coniata da Papa Bergoglio, che rientra già in quello che viene denominato “bergoglismo” cioè un neologismo capace di farci comprendere la dimensione concreta della misericordia, intesa cioè come qualcosa da “fare”.
Lui stesso dice di essere venuto a “misericordiare” sapendo che per fare misericordia è importante lasciarsi guardare con misericordia. Ecco che spunta allora nel suo linguaggio un secondo neologismo: L’inesistente gerundio “Misericordiando”. Infatti a partire da come parla di se stesso, dice: «Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato, io sono uno che è guardato dal Signore, questo sono io: un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi». E spiega è: «Il mio motto “Miserando atque eligendo” che significa “guardò con misericordia e lo scelse” ed è tratta da san Beda il Venerabile che così descrive il modo con cui Gesù ha trattato il pubblicano Matteo.
Io l’ho sentito sempre come molto vero per me […] il gerundio latino “miserando” mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
In questa esperienza vissuta della misericordia vi è una certezza dogmatica: «Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se è stata un disastro!
Quanti gesti concreti di misericordia, quanta misericordia all’opera abbiamo visto negli articoli di questo anno, in quante occasioni le comunità educanti ci hanno mostrato esperienze ricche di misericordia suscitando magari interesse e stimolo per altre comunità educanti nel mettersi in gioco dentro gesti e segni di misericordia da ”fare”.
Tutto però è possibile però solo se ci lasciamo “misericordiare”. MISERICORDIANDO infatti MISERICORDIAMO!
Le famose “opere della misericordia” infatti indicano sì un accogliere chi soffre e un andargli incontro; però in questa disponibilità a dare gratuitamente, senza nulla chiedere in cambio, non possiamo non ravvisarvi un atto misericordioso che torna al donatore. Non sempre, però proviamo lo stesso sentimento benevolo nei confronti di noi stessi. Talvolta ci dedichiamo agli altri perché vogliamo un po’ dimenticarci delle nostre miserie da riparare e ri-azzerare ed evitiamo così il sano proposito di cambiare, come singoli e anche come comunità.
Invece il “fare misericordia”, deve rappresentare per tutti, un’esperienza di profondo cambiamento interiore. Domandiamoci dunque se misericordiamo perché stiamo misericordiando; se cioè stiamo lasciando che la misericordia agisca nei nostri confronti, invitandoci a prenderci cura di noi stessi per affrontare un cammino di miglioramento.
Il gerundio usato “impropriamente” da papa Francesco, come ogni gerundio spesso si usa per indicare un’azione progressiva; in corso di svolgimento. Ora che fra meno di un mese le migliaia di porte sante aperte nel mondo si chiuderanno, siamo certi che si spalancheranno nel nostro cuore e nel cuore di tutti. Questo anno giubilare ci ha indicato la via, ci ha mostrato lo stile, e ci ha dato gli strumenti.