Sr Giulia Calvino | V domenica di Quaresima, Rito Ambrosiano
Davanti ad un evento come la morte di un amico, il volto dei personaggi è come in acque scosse da una profonda corrente: per un attimo confuso, si mostra diverso, si mostra fragile e scomposto. Gesù, arrivato a Betania, si trova subito immerso nel dolore di Marta e di coloro che le stanno accanto. Marta, Maria, la folla: tutti barcollano tra una speranza folle nell’amore di Dio e una rilettura della sua parola.
L’angoscia di Marta si traduce in movimento, in una corsa verso colui che la può accogliere nella sua disperazione. Sa che troverà braccia che la possono stringere e consolare nel pianto e cela in sé il desiderio di un Dio che esaudisca i suoi desideri.
Maria invece è in casa: non sappiamo se chiusa nel suo dolore, bloccata dalle paure e dal senso di solitudine, o se immersa nella preghiera e nella fiducia di una resurrezione oltre la morte. È a questi moti dell’animo che il Signore si fa prossimo e viene a incontrarci con-passione e chiede ancora una volta di aprire gli orizzonti: credere e vivere in lui è la Resurrezione e la Vita: “Credi questo?”
Gesù entra nel villaggio perché Marta possa dire a voce alta che crede solo nella resurrezione dell’ultimo giorno e non in quella di ogni giorno e Maria possa dire a voce alta che Gesù non c’era nel momento del bisogno e la folla potesse dire a voce alta che Gesù non aveva fatto per Lazzaro quello che poteva, quello che aveva fatto per altri. Queste titubanze e questi giudizi non bloccano la forza prorompente della Vita, che viene espressa da quel: “Vieni fuori!” pronunciato, anzi: gridato, da Colui che è la Sola, Vera Vita eterna. Un morto viene restituito vivo agli altri, riaffidato alle loro cure, dall’Unico che a ragione può dire di se stesso: “Io sono la risurrezione e la vita”. Gesù è la risurrezione perché in se stesso è vita ricevuta dal Padre. Tutta la sua vita è comunicare questo amore che viene da Dio.
Oggi scopriamo un Gesù che ama di un amore grande, vero, così umano e tenero da scoppiare in pianto. È un Dio che ci ama senza misura fino a morire per noi. In tutto questo racconto c’è la prefigurazione di ciò che sarà la fine, quando la morte che si scatenerà sul Figlio dell’Uomo sembrerà avere vinto sul mondo. Proprio quella morte, invece, sarà sigillo d’amore, il patto nuziale eterno fra Dio ed il suo figlio Gesù che abbraccerà ogni cosa ed ogni esistenza. Ogni sepolcro diverrà possibilità di vita nel Figlio, la “pietra” (qualunque nome possa avere) rotolerà via e la Vita trionferà.
Ci doni il Signore la grazia di credere in Lui e di vivere da figli nel Figlio là dove Lui ci ha posto, con i nostri compagni di viaggio, nella quotidiana scoperta della Sua presenza.
“Quante volte sono morto: era finito l’olio nella lampada, finita la voglia di lottare e faticare, forse perfino la voglia di vivere. E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, non so perché. Una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole. Un grido d’amico ha spezzato il silenzio. Delle lacrime hanno bagnato le mie bende. Io sono Lazzaro, io sono Marta e Maria, sorelle a infiniti morti. Come loro santo solo d’amicizia, risorto solo perché amato”.
(Ermes Ronchi).
Sì. Risorti. Solo perché molto amati. Amati oltre ogni umana misura.