Episodio 3: “L’alunno fa quel che può, quel che non può, non fa.”
Continua la pubblicazione degli interventi della serata “Camminare a testa alta – L’insegnamento che genera valori”, organizzata dall’Istituto Maria Ausiliatrice di Castellanza per ricordare i 100 anni dalla nascita del maestro Manzi.
Passiamo in questo episodio all’esperienza più scolastica, di educazione e formazione che ha vissuto Alberto Manzi, grazie all’intervento del dott. Roberto Morgese, insegnante di scuola elementare, formatore per il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Milano-Bicocca e scrittore. Riprendiamo il filo del discorso con alcune note biografiche offerte dall’Assessore alla Cultura della Città di Castellanza, Davide Tarlazzi.
Dicevamo che Manzi comincia la sua esperienza di insegnante in carcere, quindi con una partenza in salita, e nel ‘54 viene assegnato alla scuola elementare romana “Fratelli Bandiera”: in questa scuola lavora per tutta la vita e nonostante il successo e la notorietà, rimane fino alla pensione.
La vita di Manzi a scuola non è stata una passeggiata della salute, perché le idee e le convinzioni di questo uomo, di questo professionista, si scontrano con visioni che altre persone hanno e che il sistema sollecita; da questo punto di vista è celebre la querelle sui giudizi di valutazione. Ad un certo punto gli insegnanti sono chiamati a esprimere un giudizio sugli allievi e Manzi non è d’accordo su questa richiesta, per cui la querelle della valutazione si esplicita in che cosa? Nel fatto che lui faccia preparare questo timbro che utilizza per la compilazione delle schede e su questo timbro lui fa scrivere: “L’alunno fa quel che può, quel che non può, non fa.” E lui per questo libro e per questo giudizio va anche davanti al giudice, perché è chiamato per un provvedimento disciplinare a rendere conto di queste scelte.
Questo richiamo biografico ci avvicina al secondo momento di approfondimento che ruota attorno alla croce e delizia di chi vive nella scuola: il tema della valutazione degli apprendimenti.
Anche guardando in questi ultimi anni, la cronaca ha parlato molto di questi temi che sembrano variare ad ogni cambio di ministro: dai voti numerici si torna ai giudizi, i giudizi prima articolati e poi sintetici, e via discorrendo.
Ecco, dottor Morgese, a lei la parola, perché ci aiuti ad entrare più consapevolmente nel tema della valutazione degli apprendimenti. C’è forse un bandolo della matassa da trovare o un filo di Arianna che qualcuno ha perso in questo in questo tema? Senz’altro potrà dirci qualcosa di molto interessante.
E ora passiamo all’intervento del prof. Morgese.
Vorrei partire riprendendo un elemento dal discorso che ha affrontato la dottoressa Mora: quello che emerge, anche dalla presentazione del nostro assessore, è che nella vita di un’insegnante spesso vita e lavoro sono due dimensioni che si interfacciano continuamente. Lo sanno molto bene i mariti delle insegnanti, che tanto si tormentano dicendo: ma pensi sempre alla Scuola? E allo stesso modo succederà alle mogli degli insegnanti.
Nel mio caso io e mia moglie siamo insegnanti, quindi non possiamo rinfacciarci nulla e quindi funziona tutto in in in amore o in sopportazione.
E questo intreccio di vita e di professione diventa a volte un intreccio. Molto forte, cioè dove le scelte professionali orientano anche delle scelte di vita: ci si chiede in qualche modo di essere coerente. Io non vado volentieri al lavoro se non sento dentro di me che c’è una coerenza piena tra come predico e come razzolo, devo avere questo filo di continuità, altrimenti perdo il senso, mi scindo e ho bisogno di questa continuità di senso.
Però capite bene che un conto è porsi di fronte a come insegnare una disciplina, altro conto è valutare.
Inoltre, dovremmo sempre tenere conto del fatto che si parla spesso di valutazione, ma si dimentica che c’è una differenza tra verifica e valutare.
Quando verifico raccolgo delle informazioni, anche se già in qualche modo orientate alla valutazione, mentre quando valuto attribuisco dei valori, che possono essere: punteggi, giudizi sintetici, delle etichette, delle descrizioni… e come diceva giustamente l’assessore, su questo tema della valutazione c’è una bella baraonda, nel senso che c’è sempre movimento, cambiamenti anche in corso d’opera e spesso non sappiamo come valuteremo per la fine dell’anno. Ma una cosa è certa: dovremmo farlo obbligatoriamente perché una circolare ci obbliga a valutare gli alunni alla conclusione dell’anno scolastico, fin dalla prima classe della scuola primaria.
Come oggigiorno, anche ai tempi di Manzi la valutazione era obbligatoria e questo fa emergere come nella sua esperienza le scelte professionali entrano fortemente in coerenza con le scelte di vita.
Che cosa succede? Partiamo da un articolo del 1981: Chiedono un intervento di Pertini i genitori degli alunni della Fratella Daniela, senza docente a un mese dagli esami.
Allora c’era l’esame di quinta, e il maestro Manzi fu sospeso, perché si rifiutò di compilare le valutazioni degli alunni. Secondo lui le valutazioni affidate ai docenti dovrebbero riferirsi soltanto al profilo scolastico, senza prendere in considerazione l’intera personalità dell’alunno in ogni sua manifestazione, così come stabiliscono le disposizioni ministeriali del 78. Le disposizioni chiedono di dire qualcosa sulla personalità dell’alunno.
Un paio di settimane fa, durante un incontro di formazione con gli studenti, ho provato a chiedere il loro parere in merito. Si tratta di studenti lavoratori di Scienze della formazione primaria o laureandi, quindi persone navigate, persone che lavorano. Siamo partiti da una considerazione: se io scrivessi che un bambino è timido, questo come suona in un profilo sintetico? Se io dicessi che alcuni di voi sono timidi, voi come la prendereste?
La prenderemmo con una valutazione sulla persona. E vi farebbe piacere? No, al di là che io lo sia o meno.
Quindi perché l’insegnante deve pensare di poter dare queste etichette?
Manzi nel suo documento sostiene di aver rifiutato la compilazione dei giudizi per mancanza di una preparazione scientifica. Manzi restituisce questo messaggio: la richiesta è di descrivere l’insegnamento e l’apprendimento come un fenomeno.
Adesso vedrete che con lo svolgersi dell’articolo questo caso viene fuori. Qualcuno ha forse l’idea folle che nel verificare/valutare si stia valutando il profilo dello studente. Ma quello che si valuta è l’insegnamento, l’apprendimento: io valuto quello che lo studente restituisce del percorso di apprendimento che io ho predisposto. Quindi la prima cosa che devo verificare è il percorso di apprendimento che ho offerto, perché non posso valutare la risposta dell’alunno se non ho prima analizzato il percorso di apprendimento proposto.
Quindi Manzi dice che c’è una mancanza di preparazione scientifica, necessaria a svolgere questo compito per non cadere, inevitabilmente, in affermazioni false e concise.
A tale proposito è da notare che moltissimi docenti, in più di un’occasione, hanno messo sotto accusa il sistema della valutazione sulla personalità degli alunni, così come è stato concepito. Proprio su questo punto era scoppiata la diatriba. E per Manzi si tratta di un intreccio tra vita e professione, perché è stato privato degli scatti economici di carriera, quindi il suo stipendio non avrebbe avuto un avanzamento di anzianità. Questa cosa la reputo sinceramente scandalosa, però in una dichiarazione il provveditore agli studi, dott.ssa Italia Lecaldano, afferma che la decisione adottata dal Consiglio di disciplina era inevitabile, poiché una precisa norma di legge obbliga il docente alla compilazione delle schede. Tale scheda comprende anche la parte del giudizio di natura non strettamente scolastica, riguardante la personalità dell’alunno nel suo complesso, che va redatta con quella capacità e quella sensibilità che soltanto i maestri possono avere.
Ora, proviamo a fare un sondaggio approssimativo: alzi la mano chi tra di voi ha provato la sensazione di essere etichettato in una valutazione durante la propria carriera scolastica. A chi è successo?
Anche nella vita succede di essere valutati, però nella vita non hai di fronte una persona deputata a valutare, mentre nella scuola sì.
E adesso vediamo come prosegue il discorso. Quindi cosa significa? Che se io incontro una persona che per grazia ha una certa sensibilità e accortezza per chi ha davanti, allora mi va di lusso, ma se non è così, sono fregato. Ma non è neppure detto che la persona capace di accortezza, la usi con tutti. Perché nelle relazioni c’è sempre qualcuno con cui è più difficile rapportarsi, può ad esempio esserci un alunno che mi fa saltare i nervi. Quindi non è vero che per me sono tutti uguali, questo mi fa saltare i nervi perché non sta mai zitto.
Facciamo un esempio. Prendiamo questo alunno agitato, immaginiamolo in prima elementare; il maestro lo chiama fuori
– Dimmi una parola con la F.
– Cavallo
Il maestro conta fino a dieci e poi, con pazienza tenta di capire. Magari bisogna anche tenere conto di una diversa provenienza linguistica, però anche se proviene da un’altro paese C non è F, sono due suoni diversi. Potrebbe avere bisogno di affinare la distribuzione uditiva? è probabile.
E intanto si domanda: che cosa mi stai dicendo?
– Perché mi dici cavallo?
– Eh quella cosa lì.
– In che senso?
– E sai chi glielo mettono via, lo zoccolo.
– Ma cosa?
– Quello che è così, che è di calamita.
– Ma la calamita è un’altra C
– Sì, ma è fatto così.
– Il ferro?
– Il ferro!
– Bravo! F di ferro.
L’atteggiamento valutativo è qualcosa che portiamo con noi, quindi dobbiamo riuscire a capire quando è opportuno sganciarsi da questa visione, e quanto la valutazione diventi per noi un’ottica stringente, perché se io vado nell’ottica stringente che mi porta a valutare solamente se l’alunno ha capito o meno, resto in quel pezzettino e non vado oltre. Resto sulla prestazione.
Se invece vado a ricostruire il processo, nel caso dell’esempio, il processo dell’alunno era una sequenza di associazioni di idee, perché mancava di un termine, che poi ha conquistato.
Se restiamo sull’esempio, il maestro avrebbe potuto lamentarsi con l’alunno: “Ma è possibile che non riesci mai a dire una parola giusta?” Anche sulla scia del fatto che, sempre lo stesso alunno, è sempre distratto e disturbante.
Ma, tornando al maestro Manzi, una delle conseguenze del caso delle mancate valutazioni è anche la sollevazione popolare. Le famiglie degli studenti della classe quinta ebbero una reazione durissima contro la decisione del Consiglio di disciplina.
Se restiamo sull’articolo che abbiamo citato al principio, dopo la parte di cronaca, l’intervistatore chiede a Manzi: “Maestro, come mai si è rifiutato di compilare la parte analitica della scheda?” E il maestro risponde: “Non è mio dovere parlare della vita del ragazzo, della sua partecipazione individuale alla vita della scuola. Eventualmente, dovrei dire quanto io sono stato capace di farlo partecipare o meno a questa.”
Ricordiamoci che il fatto in questione è avvenuto più di quarant’anni fa e Manzi cerca di passare da un’osservazione che vuole valutare l’apprendimento e non la prestazione.
Manzi dice: “Non è mio dovere e non rientra nelle mie capacità analitiche dare un giudizio relativo al comportamento psicologico dell’alunno.” Immaginate quanto questa cosa possa essere pericolosa in una fase di adolescenza. I ragazzi sentono molto pesantemente questo giudizio.
Se pensiamo ai ragazzi che vanno dalla dottoressa Mora, al centro d’istruzione di Rho, dobbiamo anche tener conto che sono ragazzi che hanno avuto percorsi con difficoltà oggettive. Naturalmente non è che si scarica tutto su un fatto puntuale, ogni percorso è complesso, fatto di vita e di scuola, però ci sono state delle incomprensioni.
“E quindi, conclude Manzi, credo che sia mio diritto, oltre che mio dovere in difesa dei fanciulli stessi, di non compilare delle schede che risulterebbero false.”
Ma in che cosa la scheda risulterebbe falsa?
“Le linee guida delle valutazioni precisano che le osservazioni non possono ridursi al profilo scolastico, ma devono prendere in considerazione l’espressione dell’intera personalità dell’alunno, in ogni sua manifestazione. Si invita a fare cose alle quali non sono stato preparato.”
Consideriamo che negli anni 80 la docimologia non si è ancora sviluppata, iniziava a costituirsi la dottrinologia come discorso scientifico sulla valutazione, ma doveva ancora organizzarsi. La psicopedagogia era in fase di piena evoluzione, in Italia andava a contestualizzarsi negli ambienti di apprendimento per capire come potesse funzionare.
E quindi Manzi dice: “Io non ho la preparazione adeguata.”
Sicché la domanda diventa: allora cosa valuto? E, secondo lei, maestro Manzi, delle schede false possono avere conseguenze negative sugli alunni?
E il maestro risponde: Certamente, perché poi nella continuità scolastica, che cosa accade? Che gli insegnanti del grado successivo al mio guardano i profili in uscita. E quindi si crea un pigmalione, perché l’insegnante si crea una aspettativa verso i nuovi alunni, li etichetta secondo le indicazioni dei docenti precedenti e li rinchiude in quella visione.
Per evitare questa chiusura di sguardo, nella nostra scuola non facciamo incontri di continuità, né passaggio di informazioni, fino a che i nuovi docenti non hanno conosciuto gli alunni della classe.
Personalmente, io ho ereditato un gruppo di studenti universitari che ha lavorato con un’altra collega fino al quarto anno. Alla collega precedente ho detto: “Non ci parliamo, fammeli prima conoscere.” Se devo costruirmi un percorso di conoscenza con delle persone parto dall’osservare non dal pre-conoscere. Non ho letto nulla su di loro, perché magari per qualcuno è un’opportunità nuova, ogni passaggio è una nuova opportunità per ciascuno, per cui perché non sfruttarla?
E quindi, quali dovrebbe essere i criteri per valutare il profitto dell’alunno?
Alla facile obiezione che occorre da dare un giudizio affinché gli altri insegnanti che mi succederanno possano conoscere l’alunno, rispondo con il metodo che abbiamo visto prima. Nel conoscere nuovi studenti dobbiamo avvicinarci liberi da preconcetti. Occorre osservare, descrivere. E cosa osservo? Una serie di cose.
Non posso mai dire che uno è timido, perché un conto è utilizzare un documento ufficiale, e un conto è condividere un punto di vista. Quando abbiamo un alunno, dietro ad esso c’è sempre una famiglia, degli adulti, che si siedono di fronte a me e iniziano a parlare. E se non hanno un effetto specchio rispetto a ciò che io restituisco loro, o almeno una possibilità di ritrovare una parte di quello che io descrivo, non ci sarà mai una possibilità di entrare in comunicazione.
Come diceva Manzi, anche gli atteggiamenti che noi sviluppiamo come insegnanti vanno riconosciuti e controllati, per cui se non abbiamo una preparazione per dire una cosa, la taciamo. Se invece voglio condividere un’opinione, magari coi genitori dell’alunno, mi metto in una situazione di apertura, di confronto e ricostruisco insieme al mio interlocutore.
La stessa cosa posso farla anche in classe, per esempio utilizzando l’autovalutazione. Se siamo in una classe di 25-26 alunni, può essere che interrogare tutti sullo stesso argomento possa risultare complesso, quindi si può decidere di stabilire insieme agli alunni i criteri di valutazione, chiedendo a loro: come si valuta un interrogazione? Quali sono gli elementi chiave dell’interrogazione? Li definiamo e questi diventano gli elementi chiave che andremo a cercare. Poi ci si chiede: come li valutiamo? Si Stabilisce il modo in cui si intende valutare l’orale. Infine, si mettono a gruppetti di due o tre: si interrogano a vicenda e si valutano; dopodichè l’insegnante rivede le valutazioni e aggiusta.
Perché la valutazione è uno strumento di potere, che viene dato all’insegnante, ma che l’insegnante può decidere di non esercitare sempre in maniera diretta.
Sicuramente un personaggio dal profilo estremamente democratico, estremamente aperto. Se voglio entrare in un’ottica di Trattamento professionale vado a descrivere. Cosa descrivo? Cerco di descrivere i processi che si attivano. Non è sempre facile riconoscerli. A volte vengono espressi dai bambini, con quei verbi che ci indicano le cose che i bambini e le bambine stanno facendo; dicono e raccontano delle operazioni mentali alle quali corrispondono delle operazioni di attività scolastiche. Alcune sono più semplici, sono graduate, alcune sono più complesse, le posso articolare in macro processi. Possedere diversi di questi processi in modo intrecciato con dei contenuti e con una capacità di fare, genera delle competenze. Ma in ogni caso, devo poter descrivere i processi perché le competenze sfuggono. Una volta che descrivo i processi, posso guardare oltre, e vedere come questi si legano ai contenuti.
Quante conoscenze riescono a conservare? I processi permettono ai bambini diverse operazioni, possono: conservare, recuperare, selezionare, andare a cercare per conto loro.
Possono sviluppare diversi atteggiamenti, c’è chi è più incline verso un profilo analitico, oppure un approccio globale, una lettura trasversale, un approccio più ingenuo. Qual è lo stile che contraddistingue ognuno?
Ma queste voci non sono esaustive, potrei metterne altre, potrei toglierne alcune, ma la cosa più importante è il bisogno di osservare e descrivere per lasciar vedere le cose come sono. Questo è ciò che mi permetterà poi alla fine di chiudere il cerchio.
Allora, prima di tutto mi preparo. Considerando che non sono uno psicologo, mi preparo sul terreno che è proprio dell’insegnante e comprende: la costruzione delle conoscenze, i contenuti disciplinari, gli atteggiamenti e gli stili di apprendimento. Su questo io posso dire, posso scrivere; posso anche sbagliare, naturalmente, perché tutti possono sbagliare. Ma prima di arrivare a scrivere qualcosa avrò fatto un percorso che avrà coinvolto in parte le famiglie e sicuramente i miei alunni e le mie alunne.