– Angela Maiale –
Lessico famigliare di Natalia Ginzburg Einaudi 1963
Ci sono libri, quindi storie, che travalicano tempo e luoghi, pur essendo perfettamente identificabili con un periodo o un contesto particolare e, di conseguenza, collocabili con precisione.
Oggi chi può dire di non saper nulla di questo libro? Certamente se n’è detto tanto, forse tutto. La scrittrice è voce narrante e guida, nella narrazione degli eventi legati alla propria famiglia, e non solo, dato che con le vicende dei suoi genitori e dei suoi fratelli si intrecciano con eventi storici e personaggi viventi ai primi del Novecento tra Roma, Palermo, Sassari, la Torino di epoca fascista, nella quale importanti figure del Socialismo e dell’antifascismo, come Filippo Turati e Vittorio Foa, sono nello stesso narrato che coinvolge imprenditori unici come Adriano Olivetti, o l’editore Giulio Einaudi e lo scrittore Cesare Pavese.
Cinque figli, cinque fratelli, tutti diversi, ognuno unico e non uguale ad altri, tra loro un legame speciale che emerge poco dagli eventi e, tanto, dal lessico famigliare condiviso.
Che senso ha, oggi, leggere questo libro? Possiamo dirlo trans generazionale? Forse no; forse oggi nessun genitore può essere identificabile nei genitori dell’autrice, o forse si, ma in modo diverso: i genitori moderni sono fortemente presenti nelle vite dei figli, ne conoscono perfettamente le qualità, soprattutto quando devono esaltarle agli occhi di qualsiasi conoscente, o parente, per non parlare degli insegnanti; ne organizzano gli impegni, ne gestiscono la vita sociale, e lo fanno ben oltre l’età in cui i loro pargoli avrebbero dovuto acquisire una certa autonomia, anche nelle relazioni; intervengono a risolvere gli screzi che i figli hanno con gli amici, i conflitti, forniscono alibi per ogni necessità; li seguono sui social, li controllano nell’utilizzo che questi fanno della tv e del telefono, li tele controllano con applicazioni informatiche che monitorano i loro spostamenti fuori di casa.
Forse l’elemento comune tra quei genitori e quelli di oggi, se un’adolescente volesse leggere questo libro ricercando un’identità che travalichi i tempi, necessariamente molto differenti, potrebbe essere proprio nell’ossessione maniacale del controllo, nella ricerca della perfezione nel valutare qualsiasi scelta affinché si possa aderire al modello scelto dalla famiglia, forse anche nell’incoerenza educativa tra quei genitori, Livia e Giuseppe, ed i propri.
Natalia ci mostra un incredibile distacco affettivo ed emotivo da parte dei propri genitori, forse più preoccupati che i figli facciano sempre la “cosa giusta”, che seguano le regole imposte, come ci si aspetta, piuttosto che schierati dalla loro parte sostenendoli anche ad andare contro corrente; soprattutto il padre della scrittrice si mostra spesso molto duro, quasi anaffettivo, esercita un controllo ansioso e, a tratti anche ossessivo.
In questo possiamo ritrovarci tutti a prescindere: chi può dire di essere sempre coerente e sereno in tutte le scelte e nell’adesione a dei codici morali? Quanti genitori, anche oggi, rincorrono un’idea di perfezione in alcuni ambiti, e la tralasciano pesantemente in altri, vissuti da loro come troppo impegnativi?
Il racconto non segue una linea temporale precisa, anche se ci offre uno spaccato davvero interessante sulla lotta al fascismo, soprattutto indicata attraverso episodi che coinvolgono il fratello dell’autrice, Mario; tutti gli episodi sono introdotti per seguire una narrazione che interessa direttamente la Ginzburg rispetto qualche avvenimento particolare e lei, con linguaggio molto semplice, vuole farci comprendere come, in un ambiente tanto stereotipato, solo i modi di dire, le espressioni originali condivise, le modalità di comunicazione interpersonale tra marito e moglie, figli e genitori, costituivano il vero e profondo legame: un lessico di famiglia attraverso il quale abbiamo l’idea di unione e di legami affettivi; le abitudini lessicali condivise sono l’espressione delle relazioni e dei legami.
Possiamo definire trans generazionale anche questo? Ce l’abbiamo un lessico famigliare che non sia acquisito dai social e che ci permetta di ritrovarci e riconoscerci come famiglia, anche tra migliaia di altre persone?