– Angela Maiale –
La casa degli sguardi Daniele Mencarelli Mondadori 2018
La poesia testimonia il dolore, non lo cura … forse
Daniele è un poeta senza prospettive: vive da anni un profondo disagio psicologico, conseguenza del percorso di uscita dalla tossicodipendenza, la sua è una vera e profonda depressione, oramai cronica; per lui unico rifugio è diventato abbandonarsi all’alcool che gli procura un cinismo, stranamente, lucidissimo.
La famiglia è vittima dello stato di abbandono in cui egli vive, prostrata da una giostra di condizioni emotive e psicologiche nelle quali Daniele, con ogni suo eccesso, la trascina: delusione, rabbia, cupa disperazione, rassegnazione e frustrazione; rispetto ai fratelli, che hanno la loro vita fuori di casa e si sono creati una famiglia, chi sta peggio sono il padre e la madre; essi sembrano sopravvivere nell’attesa del tragico, quanto inevitabile evento che si porterà via colui che il padre vede come “il più grande fallimento della mia vita, e la fonte di tutte le mie disgrazie”, e sua madre, nonostante tutto il male che le ha fatto, come uno dei suoi tre figli. La sua non è più una casa in cui si parla, si dialoga, ci si confronta, nel luogo che per primo è deputato allo scambio di affettuosità nessuno ha più la forza per parlare, tutti lo ritengono inutile; da quando Daniele ha fatto entrare lì la disperazione, quella è ormai la casa degli sguardi: in base a quanto accade lo sguardo di ognuno comunica con ancor più efficacia ciò che le parole non riescono più a trasmettere.
Daniele ha solo 25 anni, ma la sua vita appare finita da un pezzo, nulla sembra toccarlo, tantomeno scuoterlo e farlo tornare a vivere in modo dignitoso, neanche la consapevolezza di tutto il male che ha fatto ai suoi genitori i quali, pur prosciugati nelle forze, nelle sostanze, nella speranza, continuano a sopravvivere, prodigandosi comunque per lui. Un amico gli procura un lavoro in una delle tante imprese di pulizie gestita da una cooperativa, questa si occupa soprattutto delle pulizie ordinarie e speciali al Bambin Gesù di Roma; naturalmente nessuno in famiglia e tra gli amici crede che questa possa essere un’opportunità, men che meno una svolta per Daniele il quale, forse, non riuscirà a tenersi il lavoro neanche per pochi giorni, eppure … quel mondo in cui dei disperati svolgono un lavoro sgradevole, in un ambiente di dolore e, spesso, cupa disperazione, quel luogo che é spesso di morte per i piccoli pazienti si rivela inaspettatamente ciò di cui il protagonista aveva bisogno per tornare con i piedi per terra, ed alla vita degna di essere vissuta.
Il malessere di cui Daniele soffre ha radici nella ricerca ossessiva quanto inconcludente di risposte alle domande che risposta non hanno da sempre: chi decide chi vive e chi muore? Chi si ammala e chi no? Perché anche i bambini possono ammalarsi e soffrire, e morire? Chi decide chi si ammala e guarisce, e chi non ce la farà? Non riuscire a trovare risposte convincenti è la motivazione per la quale Daniele non riesce a dare un senso alla propria vita, arrivando fino all’autolesionismo; egli è schiacciato dal dolore che lo circonda e, naturalmente, lavorare in questo luogo potrebbe essere per lui addirittura controproducente. A quale disegno d’amore può mai corrispondere la malattia e poi la morte di un bambino? Invece, contro ogni apparenza, sarà quel dolore a scuoterlo e a farlo rinascere.
Un giorno, per caso, Daniele assiste ad una scena per lui incredibile: un bambino con il viso sfigurato dalla malattia e dalle terapie è accarezzato e baciato da una delle suore, egli ne resta sconvolto; quella suora è una brava attrice, sa fingere di non provare disgusto, è una fanatica della fede, con quel gesto forse voleva attestare la supremazia del suo Dio? Egli non sa spiegarselo, arriva a pensare che, dopo, la suora possa essersi addirittura lavata la bocca. Dopo questo vortice di pensieri che lo assale, Daniele deve arrendersi e riconoscere che il suo cinismo non ha vinto, la spontaneità e la gratuità di quel gesto erano non solo sincere, ma il volto sereno della suora gli dimostra che ha assistito a qualcosa di nuovo per lui, e si rende conto che il suo cambiamento è iniziato il primo giorno di lavoro in quell’ospedale che rappresenta la speranza per tante famiglie, quella più grande, della salute, la speranza di guarire, di rinascere ad una vita nuova, proprio ciò che sta succedendo a lui.
La disperazione degli altri lo ha distolto dalla sua, l’abisso è, alle volte, una meta da raggiungere per poter interrompere la spirale viziosa del dolore, e Daniele tocca il fondo confrontando il suo abisso, e la sofferenza che ne consegue, con il patimento degli altri i quali, per giunta, non hanno fatto la scelta di rovinarsi la salute come lui ha invece fatto: prima con la dipendenza dalle droghe e poi dall’alcool. Con delicatezza e sincerità Daniele si lascerà trasportare da quanto ha vissuto in quell’ospedale, celebrerà quest’esperienza con una raccolta di poesie che segnerà la fine della sua ricerca fatta di cinismo e disperazione, e l’inizio della sua nuova vita.